Museo Cappella Sansevero
A pochi passi dalla frequentata piazza San Domenico Maggiore a Napoli, in una piccola via defilata, si trova uno dei più importanti monumenti barocchi della città, la Cappella Sansevero, che ospita la celebre statua del Cristo velato di Giuseppe Sanmartino.
Giuseppe Sanmartino, Cristo velato, © Museo Cappella Sansevero
La storia
La Cappella Sansevero, detta anche chiesa di Santa Maria della Pietà o Pietatella, è una cappella privata attigua al palazzo dei principi di Sansevero, al quale era un tempo collegata da un ponte sospeso che consentiva l’accesso diretto dall’abitazione. La nobile famiglia di Sangro, le cui origini risalgono all’XI secolo, occupa alte cariche al servizio dei re di Napoli fin da tempi remoti; nel 1587 Giovan Francesco di Sangro ottiene il titolo di primo principe di Sansevero, dando inizio ad una dinastia durata fino al 1890 quando il titolo passa alla famiglia d’Aquino di Caramanico. La Cappella, la cui proprietà è sempre rimasta degli eredi della famiglia di Sangro, è oggi sconsacrata e musealizzata.
Secondo una leggenda, la Cappella sorge sul luogo dove anticamente si trovava un tempio dedicato a Iside. Secondo un’altra tradizione, verso il 1590 un uomo che viene ingiustamente condotto in carcere vede crollare una parte del muro di cinta del giardino del palazzo di Sangro, dove appare un’immagine della Madonna con il Cristo in pietà; votandosi alla Vergine l’uomo viene riconosciuto innocente, e l’immagine sacra diventa meta di pellegrinaggio, dispensando numerose grazie. Poco tempo dopo, il duca Giovan Francesco di Sangro, gravemente ammalato, viene miracolato dalla Madonna; per gratitudine, nel luogo dell’apparizione fa costruire dal 1593 una piccola cappella intitolata a Santa Maria della Pietà. Il figlio Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria, all’inizio del ’600 amplia la cappella trasformandola in un tempio destinato ad ospitare le sepolture della famiglia.
Anonimo, Madonna con il Cristo in pietà, © Museo Cappella Sansevero
A parte alcune statue di membri della famiglia tuttora collocate in loco, non rimane nulla dell’aspetto seicentesco della cappella. A partire dagli anni ’40 del Settecento, Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, dà infatti avvio ad un grandioso progetto di ampliamento e decorazione, ingaggiando artisti di fama internazionale per realizzare una serie di statue allegoriche dedicate ai principi di Sansevero e alle loro consorti. Noto per i suoi esperimenti alchemici, le innumerevoli invenzioni (fra le quali un lume perpetuo, colori per la pittura, macchine idrauliche, armi, tessuti impermeabili, fuochi d’artificio colorati), le opere letterarie e scientifiche, e soprattutto l’adesione alla massoneria, Raimondo mette a punto un programma iconografico dai molteplici livelli di lettura, sia religioso che esoterico, dedicando molti anni e ingenti risorse alla realizzazione del suo progetto. Raimondo chiama Antonio Corradini, scultore veneto di grande fama, per elaborare e realizzare l’intera decorazione della Cappella; già anziano, Corradini muore però nel 1752 lasciando numerosi bozzetti delle statue da realizzare. La sua opera viene proseguita dal genovese Francesco Queirolo, autore di numerose opere all’interno della Cappella. A seguito di alcuni contrasti fra Queirolo e Raimondo di Sangro che si risolvono in una disputa legale, la realizzazione delle restanti statue viene affidata ad altri scultori e completata entro gli anni ’70 del XVIII secolo.
Pavimento della Cappella Sansevero, prima e dopo, © Museo Cappella Sansevero
Nel 1889 un’infiltrazione d’acqua causa il crollo del ponte che collegava l’edificio al palazzo di famiglia e del pavimento della cappella; va così perso il motivo decorativo labirintico ideato da Raimondo di Sangro, realizzato in tarsie marmoree policrome secondo un disegno continuo e senza giunture, che viene sostituito dall’attuale pavimento in cotto napoletano. Alcuni frammenti del pavimento originale sono ancora visibili nel passaggio antistante la tomba di Raimondo, nella cavea sotterranea e in sagrestia; il disegno del pavimento era parte integrante del significato simbolico della cappella: solo districandosi fra le insidie della vita mondana (il labirinto) e conducendo una vita di virtù (rappresentate dalle statue allegoriche) è possibile raggiungere la verità. Secondo un altro livello di lettura, il pavimento e la cappella simboleggiano la difficoltà dell’itinerario che l’iniziato ai segreti massonici deve compiere per giungere alla conoscenza.
Dettaglio del pavimento labirintico della Cappella Sansevero, © Museo Cappella Sansevero
Il percorso di visita
La Cappella si presenta oggi nell’aspetto settecentesco voluto da Raimondo di Sangro; è un ambiente rettangolare a navata unica con cappelle laterali. La visita può iniziare dallo straordinario Cristo velato collocato al centro della navata, che costituisce certamente l’elemento di maggior richiamo; opera giovanile dello scultore napoletano Giuseppe Sanmartino, è stato realizzato nel 1753 in soli 3 mesi a partire da un bozzetto di Antonio Corradini tuttora visibile al Museo di San Martino. La statua raffigura il Cristo morto, giacente su un materasso su cui sono appoggiati gli strumenti della passione; il corpo è coperto da un velo che lascia intravedere le fattezze del viso, le piaghe su mani e piedi, la ferita al costato, con un tale realismo che in passato si era diffusa la leggenda per cui il velo non fosse vero marmo scolpito, ma un panno che Raimondo di Sangro, noto per i suoi esperimenti, era riuscito a marmorizzare tramite qualche misterioso processo chimico.
Cappella Sansevero, interno © Museo Cappella Sansevero
La visita può proseguire osservando le statue che sono disposte secondo uno schema ricorrente: nelle nicchie sono raffigurati i principi di Sansevero, mentre nei gruppi scultorei accostati ai pilastri sono rappresentate le rispettive mogli in forma di allegorie. Sopra la porta d’ingresso è collocata la statua più sorprendente dell’intera cappella, che raffigura Cecco di Sangro, comandante al servizio del re di Spagna Filippo II, mentre salta fuori da una cassa con la spada sguainata, in ricordo di una sua celebre impresa durante una campagna militare nelle Fiandre: per conquistare la rocca di Amiens si finse morto e rimase due giorni chiuso in una bara, dalla quale uscì al momento opportuno cogliendo di sorpresa i nemici e impadronendosi così della città.
Cecco di Sangro, © Museo Cappella Sansevero
Proseguendo in senso orario, troviamo in controfacciata il monumento a Giovan Francesco di Sangro, terzo principe di Sansevero, e l’allegoria del Decoro dedicata alle sue due mogli, opera di Antonio Corradini, che raffigura un giovane accanto a una testa di leone, a simboleggiare la vittoria dello spirito umano sulla natura ferina; il giovane indossa due calzature diverse, una elegante e una popolare, ad indicare il contegno che è necessario mantenere a seconda della propria posizione sociale.
A sinistra: Francesco Celebrano o Antonio Corradini, Monumento a Giovan Francesco di Sangro, terzo principe di Sansevero. A destra: Antonio Corradini, Decoro, © Museo Cappella Sansevero
Nella prima nicchia è una statua seicentesca raffigurante Paolo di Sangro, quarto principe di Sansevero, seguita dalla Liberalità di Francesco Queirolo, che rappresenta una donna con una cornucopia, simbolo di generosità, accompagnata da un’aquila, emblema di forza.
A sinistra: Berardo Landini e Giulio Mencaglia, Paolo di Sangro, quarto principe di Sansevero. A destra: Francesco Queirolo, Liberalità © Museo Cappella Sansevero
Nella seconda nicchia, un’altra opera seicentesca mostra Giovan Francesco di Sangro, primo principe di Sansevero, seguita dallo Zelo della religione, complessa allegoria dedicata alle sue due mogli raffigurante un uomo anziano che porta in una mano la luce della Verità e nell’altra una frusta per punire il sacrilegio, mentre con il piede calpesta un libro da cui fuoriescono le serpi dell’eresia; in basso, un putto con una fiaccola distrugge i testi eretici da cui escono altri serpenti.
A sinistra: Giacomo Lazzari, Giovan Francesco di Sangro, primo principe di Sansevero. A destra: Francesco Celebrano e altri, Zelo della religione, © Museo Cappella Sansevero
Un dipinto collocato sulla porta di accesso laterale raffigura Vincenzo di Sangro, primogenito di Raimondo e ottavo principe di Sansevero, seguito dall’allegoria della Soavità del giogo coniugale di Paolo Persico, dedicata alla nuora di Raimondo e raffigurante una donna che nella mano sinistra regge un giogo piumato, e nella destra due cuori fiammeggianti, mentre ai suoi piedi un putto alato gioca con un pellicano, simbolo di carità; l’effigie sul medaglione posto alle spalle della statua non è completa, perché la donna era ancora viva al momento della realizzazione del monumento, e Vincenzo non portò mai a compimento la decorazione della cappella disobbedendo alle volontà testamentarie del padre.
A sinistra: Carlo Amalfi, Vincenzo di Sangro, ottavo principe di Sansevero. A destra: Paolo Persico, Soavità del gioco coniugale © Museo Cappella Sansevero
La nicchia seguente ospita una statua di Santa Rosalia del Queirolo; la più famosa santa della famiglia, morta a metà del XII secolo e poi diventata patrona di Palermo, era infatti una di Sangro.
Francesco Queirolo, Santa Rosalia © Museo Cappella Sansevero
Negli angoli all’ingresso del presbiterio sono collocate due delle statue più pregevoli della Cappella, dedicate ai genitori di Raimondo di Sangro. A sinistra si trova l’allegoria della Pudicizia, mirabile opera di Antonio Corradini che raffigura una donna coperta da capo a piedi da un velo impalpabile che lascia intravedere il corpo sottostante, riproducendo l’effetto bagnato delle sculture dell’antica Grecia; l’iconografia ricorda quella tradizionale della dea Iside, a richiamare la leggendaria esistenza di un tempio a lei dedicato nel luogo dove ora sorge la Cappella. La giovane raffigurata è Cecilia Gaetani, madre di Raimondo, morta in giovane età quando il figlio aveva soltanto un anno; la lapide spezzata e l’albero della vita rappresentano proprio la sua breve esistenza troppo presto interrotta; sul basamento è raffigurato l’episodio evangelico del Noli me tangere, altro riferimento al tema della vita e della morte.
Antonio Corradini, Pudicizia © Museo Cappella Sansevero
A destra del presbiterio è raffigurato invece Antonio di Sangro, padre di Raimondo; dopo la morte della moglie, lasciato il figlio alle cure dei nonni paterni, Antonio aveva condotto una vita sregolata, costellata di delitti e fughe dalla giustizia, conclusa poi nella conversione alla vita sacerdotale. La complessa allegoria mostra un uomo in atto di districarsi da una rete, simbolo del peccato, aiutato da un genio alato sulla cui fronte brucia la fiamma dell’intelletto, mentre calpesta un globo che rappresenta le passioni mondane; sul basamento è raffigurato l’episodio di Gesù che dona la vista al cieco, a rafforzare il significato dell’allegoria. La straordinaria opera è stata eseguita da Francesco Queirolo, e il virtuosismo mostrato nell’esecuzione della rete è tale che si racconta che lo scultore stesso dovette completare la lucidatura del marmo perché i suoi collaboratori si rifiutarono temendo di danneggiarla.
Francesco Queirolo, Disinganno © Museo Cappella Sansevero
L’altare della Cappella è decorato da una pala marmorea di Francesco Celebrano raffigurante la Deposizione, a richiamare l’intitolazione all’effigie miracolosa della Pietà; il dipinto che aveva dato origine al primo sacello, opera di un ignoto pittore napoletano, è collocato sopra la pala. L’altorilievo raffigura una scena ricca di personaggi, tutti raccolti attorno al Cristo in una cascata che parte dai putti piangenti e, passando per le drammatiche figure delle Marie e di San Giovanni, si conclude nell’angioletto che regge un velo con il volto di Cristo; sotto l’altare, un putto scoperchia una tomba vuota, mentre ai lati altri angeli dolenti osservano la scena. In una piccola nicchia a sinistra dell’altare si trova un busto di Alessandro di Sangro, promotore del rinnovamento secentesco della Cappella.
Francesco Celebrano, Deposizione © Museo Cappella Sansevero
In posizione speculare rispetto a Santa Rosalia si trova un’altra statua, ancora del Queirolo, raffigurante Sant’Oderisio, cardinale dell’abbazia di Montecassino morto nel XII secolo e appartenente a un ramo della famiglia di Sangro.
Francesco Queirolo, Sant’Oderisio © Museo Cappella Sansevero
La statua seguente, di Queirolo, è dedicata a Carlotta Gaetani, moglie di Raimondo; rappresenta la Sincerità, simboleggiata dal cuore che regge nella mano destra e dal caduceo, emblemi di amore e ragione; l’allegoria è completata da un putto e due colombe a rappresentare la purezza e la fedeltà coniugale. Nella successiva nicchia è collocata la tomba di Raimondo di Sangro; in alto è un dipinto a olio su rame purtroppo in cattivo stato di conservazione, sovrastato da un fastigio marmoreo con simboli delle sue glorie terrene (armi, libri, pergamene, squadre, l’onorificenza di cavaliere dell’Ordine di San Gennaro); una lunga iscrizione sotto il dipinto ricorda i titoli nobiliari, le cariche e le onorificenze di Raimondo, e lo esalta come ideatore del programma iconografico della Cappella; la peculiarità della lastra è che non è incisa, bensì in rilievo: un effetto ottenuto grazie a un procedimento a base di solventi ideato dallo stesso principe. Davanti alla tomba di Raimondo è visibile una porzione del pavimento labirintico che un tempo ricopriva l’intera superficie della Cappella.
A sinistra: Francesco Queirolo, Sincerità. A destra: tomba di Raimondo di Sangro © Museo Cappella Sansevero
La composizione allegorica che segue è il Dominio di se stessi del Celebrano, dedicata alla nonna di Raimondo, moglie del sesto principe di Sansevero; raffigura un guerriero romano che tiene alla catena un leone domato, a significare che l’istinto e le passioni vengono tenuti a freno dall’intelletto e dalla volontà. Segue nella nicchia il mezzobusto di Paolo di Sangro, sesto principe di Sansevero e nonno di Raimondo, realizzato dal Corradini.
A sinistra: Francesco Celebrano, Dominio di se stessi. A destra: Antonio Corradini, Paolo di Sangro, sesto principe di Sansevero © Museo Cappella Sansevero
L’ultimo pilastro ospita l’Educazione del Queirolo, dedicata alle mogli del secondo principe di Sansevero e raffigurante una donna intenta ad istruire un fanciullo. Nella nicchia è collocata la statua di Paolo di Sangro, secondo principe di Sansevero, raffigurato in abiti militari romani per ricordare le sue imprese belliche.
A sinistra: Francesco Queirolo, Educazione. A destra: Anonimo, Paolo di Sangro, secondo principe di Sansevero © Museo Cappella Sansevero
In controfacciata, l’allegoria dell’Amor divino, dedicata alla moglie del quinto principe di Sansevero, mostra un giovane che guarda verso il cielo tenendo in mano un cuore fiammeggiante, a significare l’amore per Dio. Chiude la sequenza dei principi la composizione dedicata a Giovan Francesco di Sangro, nella quale un angelo sorregge mestamente una fiaccola abbassata in segno di lutto.
A sinistra: Francesco Queirolo, Amor divino. A destra: Francesco Celebrano, Monumento a Giovan Francesco di Sangro, quinto principe di Sansevero © Museo Cappella Sansevero
Prima di avviarsi verso la cavea, possiamo ammirare la decorazione della volta, eseguita da Francesco Maria Russo; in un impianto architettonico illusionistico, è raffigurata la Gloria del Paradiso o Paradiso dei di Sangro, con la colomba dello Spirito Santo contornata da angeli che si librano nel cielo; alla base della volta, una serie di medaglioni monocromi mostra i busti dei santi della famiglia di Sangro che assistono all’apparizione divina. I vivaci colori dell’affresco sono ancora quelli della stesura originale, realizzata con una formula inventata da Raimondo di Sangro, e non sono mai stati restaurati.
Francesco Maria Russo, Gloria del Paradiso o Paradiso dei di Sangro, volta della Cappella © Museo Cappella Sansevero
Tornando verso la tomba di Raimondo di Sangro, si scende per una piccola scala in una cavea sotterranea; nei progetti di Raimondo, questo ambiente raccolto era destinato ad ospitare il Cristo velato, illuminato solo dai lumi perpetui di sua invenzione. La statua non è mai stata collocata qui; oggi vi sono esposte le due famose “macchine anatomiche”, scheletri di un uomo e una donna sui quali è stato riprodotto il sistema circolatorio. Opere del medico Giuseppe Salerno e realizzate con materiali vari fra cui cera e coloranti, sono stati a lungo creduti i corpi di due servitori della famiglia ai quali sarebbe stata iniettata una sostanza che avrebbe causato la metallizzazione dei vasi sanguigni. Lasciata la cavea, l’ultimo ambiente visitabile è la sacrestia, dove sono esposte altre lastre del pavimento labirintico e due dipinti, una Madonna con Bambino e un altro ritratto di Raimondo di Sangro.
Giuseppe Salerno, Macchine anatomiche © Museo Cappella Sansevero
Come arrivare
La Cappella Sansevero si trova in via Francesco De Sanctis 19/21, a pochi passi dalla chiesa di San Domenico. Il numero di biglietti d’ingresso giornalieri è limitato, con prenotazione obbligatoria sul sito. All’interno della Cappella non sono consentite foto né riprese video; per tutte le foto mostrate nell’articolo: © Museo Cappella Sansevero.
A questa pagina potete trovare un itinerario alla scoperta di altri luoghi e monumenti di Spaccanapoli (l’antico decumano inferiore, oggi via Benedetto Croce e via Forcella).
Con i mezzi pubblici: metro Linea 1 (gialla), fermate Dante o Università, a circa 800 metri dalla Cappella.
In auto: la Cappella Sansevero si trova in zona ZTL, in area pedonale. Sconsigliamo di raggiungere il centro storico con un proprio mezzo; i parcheggi sono limitati e il traffico è difficoltoso, per cui è preferibile raggiungere il centro in treno o metro e spostarsi a piedi. Se si desidera comunque arrivare in centro in auto, possiamo consigliare il parcheggio Supergarage, a poco più di 1 km dalla Cappella; rimandiamo al sito della ANM per l’elenco di altri parcheggi disponibili.
Dove mangiare
Per una piacevole sosta in una pasticceria storica di Napoli, consigliamo Scaturchio in piazza San Domenico Maggiore, che dispone di alcuni tavolini all’esterno.
Collegamenti utili
ANM (Azienda Napoletana Mobilità)