Napoli città europea più vitata dopo Vienna
Furono i Greci provenienti dall’Eubea, primi colonizzatori dell’area del golfo di Napoli con la fondazione di uno scalo commerciale sull’isola di Ischia nella prima metà dell’VIII secolo a.C., a portare la viticoltura nell’area partenopea, coltivando la vite nei fertili terreni alle pendici del Vesuvio. Testimonianza di questa origine antica della viticoltura partenopea è il vitigno Aglianico, probabilmente originario della Grecia e introdotto in Italia intorno al VII-VI secolo a.C., il cui nome sembra derivare dall’antica polis di fondazione greca Elea, oppure dalla parola “ellenico”. La tradizione venne in seguito portata avanti dai Romani, che fecero di Pompei il fulcro della produzione e della commercializzazione del vino verso i territori dell’impero.
Affresco raffigurante grappoli d’uva a Pompei
Vigneto sul Golfo di Napoli
Nell’area metropolitana di Napoli, fra i territori di Posillipo, Agnano, Vomero, Chiaiano, i Camaldoli, Capodimonte e San Martino, la tradizione vitivinicola è ancora oggi viva grazie agli oltre 130 ettari di terreno coltivati a vite, che fanno di Napoli la seconda città europea con la più ampia estensione di vigneti urbani.
Vigne sotto la certosa di San Martino
La fillossera, piccolo insetto infestante che alla fine dell’Ottocento ha distrutto le viti di gran parte dell’Europa, non è riuscita ad attecchire nell’area vesuviana, dove non ha trovato un habitat ideale per via del terreno sabbioso e di origine vulcanica; i vigneti dell’area napoletana sono così fra i pochi al mondo a mantenere la coltivazione “a piede franco”, cioè senza l’impiego della vite americana come portainnesto. La vite ancora oggi coltivata in queste aree è quindi una rarità, figlia del patrimonio genetico originario della vite europea portata dai Greci, in grado di preservare la purezza dei vitigni e la tradizione del metodo di coltivazione, con piante che possono vivere anche oltre i 150 anni dando ai vini qui prodotti, come il Falanghina o il Piedirosso, il loro tipico carattere forte.
Vite a piede franco
La coltivazione della vite nelle aree urbane di Napoli è a tutti gli effetti una viticoltura eroica: Napoli sorge infatti su un’area interamente vulcanica che, oltre a dare sentori di sapidità e mineralità al vino, risulta però difficile da lavorare per la consistenza granulosa oltre che per le forti pendenze; l’unica soluzione per la maggior parte degli appezzamenti vitati è quindi il terrazzamento, con la divisione del terreno in una molteplicità di gradoni contenuti da opere murarie che dalla sommità delle colline degradano verso il mare e permettono di gestire la coltivazione, che può essere effettuata quasi esclusivamente con metodi manuali. Questo faticoso metodo di lavorazione diventa anche prezioso strumento di salvaguardia del territorio e delle diversità geologiche del suolo, oltre che un modo per sottrarre ampie superfici di terreno all’urbanizzazione e assicurare un polmone verde alla città.
Vigneto azienda agricola Varriale a Posillipo
La tradizione della coltivazione della vite in aree urbane è stata oggetto delle due edizioni del Festival delle Vigne Metropolitane; nella prima edizione del 2016, celebrata anche da uno speciale annullo filatelico, sono stati promossi i vigneti di Posillipo, Agnano, Chiaiano e i Camaldoli, mentre la seconda edizione del 2018 è stata occasione di studi sulla Real Vigna del Giardino dei Principi, storico vigneto che si trovava nel giardino della Reggia di Capodimonte e che oltre a una grande vigna ospitava alberi da frutta, agrumeti e un vivaio; le tracce delle coltivazioni sono ora di difficile individuazione a causa delle successive sistemazioni del giardino nel corso dell’800, ma sono testimoniate dall’esistenza di vigneti nelle grandi tenute e nelle masserie che all’epoca si estendevano nell’intera area di Capodimonte.
Vigneti nella zona di Capodimonte
La vigna con la maggiore estensione è quella di San Martino, che con i suoi sette ettari è il secondo vigneto urbano più grande d’Europa ed è stata dichiarata Monumento Nazionale dal Ministero per i Beni Culturali. Adagiata sull’omonima collina che si sviluppa ai piedi della Certosa, la sua vocazione vitivinicola è testimoniata già nella famosa Tavola Strozzi, dipinto su tavola del 1472-73 conservato al Museo Nazionale di San Martino che rappresenta una veduta di Napoli nel 1465 nella quale sono ben evidenti le coltivazioni a vite sui fianchi della collina. Le notizie storiche consentono di datare le opere di terrazzamento, eseguite dai monaci della Certosa, alla seconda metà del XVIII secolo.
Napoli, tavola Strozzi
Gran parte delle aree coltivate a vigneto è oggi compresa nel Parco Regionale dei Campi Flegrei e nel Parco Metropolitano delle Colline di Napoli.
Vigneti sulle colline dei Camaldoli
Informazioni utili:
Parco Regionale dei Campi Flegrei
Parco Metropolitano delle Colline di Napoli