Itinerario Spaccanapoli
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L’ itinerario inizia con la visita del convento di S. Maria La Nova. Fu costruito dopo la demolizione di una chiesa francescana, dedicata alla Vergine, che intralciava i lavori per la costruzione di Castel Nuovo. Carlo I donò in cambio ai frati un’ area poco distante dove sorse, a spese regie, una nuova chiesa chiamata perciò S. Maria La Nova. Il soffitto in legno dorato, museo della pittura napoletana fra ‘500 e ‘600, contiene 46 tele dei più celebri artisti del tempo (Curia. Imparato, Santafede e Carenzio). Nella quarta cappella a destra è il retablo con Sant’ Eustachio di Giovanni da Nola. Le altre cappelle contengono opere di Caracciolo. Teodoro, d’ Errico e Santacroce. Nell’ ex convento sede dell’ amministrazione provinciale, sono due chiostri: il minore al numero 44 con affreschi e sepolcri rinascimentali in marmo, il maggiore n. 43 con un giardino centrale. Poco oltre in piazza Tommaso Monticelli n. 11, si può vedere la facciata quattrocentesca di palazzo Penna.
Prendendo via Monteoliveto, raggiungiamo la piazza omonima dove troviamo la chiesa di S. Anna dei Lombardi, fondata nel 1411 con il nome di S. Maria di Monteoliveto, fu la chiesa prediletta dei reali aragonesi che chiamarono a decorarla i più famosi artisti dell’ epoca. Il nome fu cambiato quando fu assegnata alla confraternita dei Lombardi (ancora oggi appartenente a questa confraternita), la cui chiesa era crollata nel terremoto del 1805. All’ interno, dove sono ancora visibili sul soffitto i segni della guerra, conserva pregevoli testimonianze di architettura e scultura rinascimentale. La pala d’ altare marmorea della cappella Piccolomini opera di Antonio Rossellino (1475) è sovrastata da un’ animata decorazione con Angeli danzanti di Benedetto da Majano, autore anche della pala della cappella Terranova (1489). La cappella Tolosa nel transetto sinistro, fu decorata dalla bottega fiorentina dei della Robbia. A destra del presbiterio è il compianto sul Cristo Morto di Guido Mazzoni (1492) in cui otto figure in terracotta, a grandezza naturale e molto reali, circondano il Cristo in pose dolenti. Nei loro volti si riconoscono i reali aragonesi.
In via Monteoliveto (n. 3) si trova inoltre palazzo Gravina, costruito nel ‘500 e modificato da successivi restauri, sede della facoltà di Architettura.
Sulla destra di via Monteoliveto prendendo Calata Trinità Maggiore, giungiamo in piazza del Gesù Nuovo dove possiamo ammirare la guglia dell’ Immacolata , uno stelo marmoreo fiorito simbolo della devozione alla Vergine, commissionato dai gesuiti, ed allo stesso tempo manifestazione tangibile della potenza dell’ Ordine. La guglia, ispirata al modello degli antichi obelischi egiziani, fu edificata a partire dal 1743 su progetto dell’ Architetto Giuseppe Gennino. Il complesso apparato decorativo con i santi gesuiti e le storie mariane, considerato il più importante prodotto della scultura napoletana del XVIII secolo, fu realizzato da Francesco Pagano e Matteo Bottigliero. La statua della Madonna sulla sommità della guglia viene festeggiata il giorno dell’ Immacolata Concezione (8 dicembre).
Più avanti sulla destra troviamo il complesso monumentale di Santa Chiara, costituito dai due conventi (uno per le Clarisse e uno per i Frati Minori francescani) e dalla chiesa che custodisce le tombe dei sovrani delle dinastie d’Angiò e Borbone. Il complesso venne edificato a partire dal 1310 per volere di Roberto d’Angiò e della moglie Sancha di Maiorca; vi si svolsero le adunanze del regno e le cerimonie più solenni, come quella per il miracolo del sangue di San Gennaro. Un rifacimento in stile barocco di metà ’700 interessò l’interno della basilica e l’attiguo chiostro, celando le originarie forme gotiche. Nel 1943 la chiesa venne colpita da un bombardamento aereo che la distrusse quasi completamente; nella ricostruzione che seguì si scelse di riportare l’edificio al primitivo stile gotico. L’interno è a navata unica senza transetto, con cappelle laterali. Nella zona absidale, in controfacciata e nelle cappelle sono collocati pregevoli monumenti funerari di reali angioini risalenti al periodo gotico; dello stesso periodo sono anche l’altare maggiore, il sovrastante crocifisso ligneo, e alcuni resti di affreschi alle pareti. Il campanile, che si eleva isolato a sinistra della chiesa, conserva sul basamento trecentesco un’iscrizione in caratteri gotici che ricorda la fondazione della chiesa. Alle spalle della basilica si trova il chiostro maiolicato, risalente al XIV secolo ma modificato a metà del XVIII secolo nelle attuali forme barocche dall’architetto Domenico Antonio Vaccaro; lo spazio centrale, adibito a giardino, è decorato da pilastri ottagonali e sedute rivestiti da maioliche dipinte. In alcune sale adiacenti al chiostro è allestito il Museo dell’Opera, che conserva oggetti, elementi decorativi e sculture provenienti dal complesso di Santa Chiara. Nella prima sala del museo e nello spazio esterno sono visibili i resti di un edificio termale romano risalente al I secolo d.C., che costituiscono la testimonianza più completa a noi pervenuta delle antiche terme di Neapolis.
Proseguendo sulla sinistra prendiamo via S. Sebastiano dove al n. 42 troviamo la chiesa di Santa Marta, fondata da Margherita di Durazzo nel ‘400, sede di una delle più importanti confraternite della città, che annoverava fra i suoi iscritti, sovrani, vicerè e alti dignitari. Il portale conserva l’ originale struttura ad arco ribassato. Sull’ altare è posto il dipinto di Andrea e Nicola Vaccaio (1670), raffigurante la Santa alla quale è intitolata la chiesa. Di qui proviene il codice di Santa Marta, con preziose miniature, conservato nell’ archivio di Stato. Da un’ ambiente attigua alla sagrestia è possibile scendere e visitare il cimitero ipogeo.
Proseguiamo il nostro cammino ed in via Benedetto Croce, al n. 12, troviamo Palazzo Filomarino, è il primo dei tanti palazzi nobiliari che incontreremo in questo itinerario, anche se molti di essi sono in cattivo stato di conservazione, questi edifici patrizi conservano ancora il loro splendore e continuano a raccontare, con la loro imponenza, la storia delle generazioni di nobili che li hanno costruiti ed abitati. Di origine trecentesca il palazzo subì modifiche sostanziali nel XVI secolo ed interventi di restauro nel secolo successivo, dopo i danni subiti durante la rivolta di Masaniello. Il portale settecentesco è opera dell’ architetto Sanfelice. In questo palazzo visse per molti anni e vi morì, nel 1952, il filosofo Benedetto Croce, personaggio di primo piano nella cultura e nella vita politica italiana del primo cinquantennio del Novecento. L’ Istituto di studi Storici da lui fondato, occupa con la sua biblioteca ricca di 40.000 volumi, tutto il piano nobile dell’ edificio.
Più avanti al numero 45, possiamo ammirare l’ imponente portale barocco del palazzo Palazzo Carafa della Spina, costruito tra il 1598 ed il 1603 da Domenico Fontana.
Poco più in la troviamo palazzo Pinelli Della Foglia , eretto dal Di Palma per conto del banchiere Genovese Cosimo Pinelli, caratteristica è la parte interna con portico e scala aperta.
Alla fine di via Benedetto Croce, troviamo piazza San Domenico Maggiore che rappresenta uno dei rari interventi urbanistici realizzati a Napoli in età rinascimentale. Nel ‘400 l’ area anticamente percorsa dalle mura greche, era ancora occupata da orti e giardini. I sovrani aragonesi ne promossero la trasformazione per dare maggiore visibilità alla chiesa si San Domenico che era stata scelta per custodire le spoglie reali e per valorizzare la zona vicina al seggio del Nilo, dove risiedevano i nobili. Il fondo della piazza è dominato dall’ abside poligonale della basilica, accanto, al termine di un’ altra scalinata, è visibile il bel portale trecentesco della chiesa Sant’ Arcangelo a Morfisa.
Importanti palazzi nobiliari, circondano gli altri lati della piazza; di fronte alla chiesa, n. 17, si trova l’ edificio settecentesco dei Sangro di Casacalenda, a sinistra (n. 3), palazzo Petrucci, con un portale quattrocentesco; a destra (n. 9 e 12) i palazzi Corigliano e Sangro di San Severo.
Al centro della piazza troviamo la basilica di San Domenico Maggiore, costruita nel 1823 per volere di Carlo I d’ Angiò. L’ edificio è di stile gotico suddiviso in tre navate ed ingloba l’ antica chiesa di Sant’ Arcangelo a Morfisa. La chiesa attuale è il risultato di radicali restauri e sostanziali modifiche. Nel 1506 la basilica fu quasi completamente distrutta da un incendio. Tra il 1850 e il 1853, Federico Travaglino operò un radicale rinnovamento dell’ interno in stile neogotico. Nella seconda cappella a destra vi sono i bellissimi affreschi trecenteschi attribuiti a Pietro Cavallini. Nella sacrestia, su un’ alto ballatoio, sono disposte le 45 “Arche” con i resti di sovrani ed alti dignitari della corte aragonese. Adiacente alla sacrestia è la sala del Tesoro, arredata con splendidi armadi lignei del XVIII secolo.
Un po’ nascosta, alle spalle del palazzo di Sangro, si trova la Cappella Sansevero (via Francesco de Sanctis 19). L’attuale decorazione barocca della piccola cappella, destinata ad accogliere le tombe di famiglia, fu ideata personalmente da Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, nella seconda metà del ’700. Nelle nicchie e in corrispondenza dei pilastri una serie di statue e gruppi scultorei raffigura i personaggi della potente casata; i principi, ospitati nelle nicchie, sono ritratti nelle loro fattezze ideali, mentre alle loro mogli sono dedicate le figure allegoriche addossate ai pilastri, ognuna rappresentante una figura allegorica che rispecchia la personalità delle consorti. Alla madre e al padre di Raimondo sono dedicate due fra le sculture di maggior pregio, poste ai lati dell’altare; alla madre, collocata a sinistra dell’altare, è dedicata la Pudicizia, opera di Antonio Corradini, mentre il padre è raffigurato alla destra dell’altare nell’allegoria del Disinganno, opera di Francesco Queirolo. L’opera più famosa è lo straordinario Cristo velato, capolavoro del 1753 dello scultore napoletano Giuseppe Sanmartino. Nella cavea sotterranea sono esposte le cosiddette “macchine anatomiche”, due scheletri umani sui quali è stato minuziosamente riprodotto il sistema circolatorio; questa e altre invenzioni del misterioso Raimondo di Sangro, cultore di scienze (anche occulte), alchimista, letterato e gran maestro della Massoneria, hanno alimentato numerose leggende che lo hanno dipinto come demone e stregone. (Foto: © Museo Sansevero)
Torniamo in piazza San Domenico e riprendiamo via Benedetto Croce dove subito sulla destra, possiamo vedere la chiesa di Sant’ Angelo a Nilo (piazzetta Nilo). Fatta eregere alla fine del ‘300 dal cardinale Brancaccio, accanto al palazzo di famiglia, la chiesa fu notevolmente modificata quattro secoli dopo da Arcangelo Guglielminelli. Al suo interno è conservata la prima opera rinascimentale della città: il monumento funebre del cardinale fondatore della chiesa, scolpito a Pisa da Donatello e Michelozzo nel 1426-27 e inviato a Napoli via mare. Sul davanti del sarcofago, nel bassorilievo con l’ assunzione della Vergine, Donatello offre uno dei primi esempi della sua rivoluzionaria tecnica dello “stiacciato” (il rilievo si otteneva gradualmente da primo piano a quello di fondo per dare l’ illusione della profondità). Dalla chiesa si accede al cortile di palazzo Brancaccio dove, grazie al mecenatismo della famiglia, fu fondata nel 1690 la prima biblioteca della città.
Un po’ più avanti possiamo, seguendo via Tribunali, ammirare la statua del dio Nilo (largo Corpo di Napoli), fatta erigere da mercanti alessandrini, che in questa zona della città greco-romana, avevano le loro sedi, in onore del dio egiziano Nilo. Dispersa dopo la loro partenza, fu ritrovata nel ‘400 priva della testa. In quella occasione i putti giacenti accanto al Nilo, simbolo dei vari rami del dio-fiume, furono scambiati per bambini al seno della madre e la scultura venne così chiamata “il corpo di Napoli”: la città madre che allatta i suoi figli. La statua è ancora chiamata così (come il largo in cui si trova) anche se, in un restauro operato nel seicento, è stata integrata in una testa barbuta.
Proseguiamo dritto ed in via S. Biagio dei Librai al civico 121, troviamo palazzo Carafa di Sant’ Angelo, noto come “palazzo della capa di cavallo”, dalla riproduzione della testa di cavallo che Lorenzo il Magnifico donò all’ amico Diomede Carafa nel 1471 per ornare il palazzo. La scultura originale, in bronzo di epoca romana, è conservata nel museo archeologico dal 1809. Il portale marmoreo, che ricorda quello di palazzo Peetrucci in piazza S. Domenico, e il paramento della facciata a bugne poco sporgenti sono espressioni del nuovo linguaggio figurativo rinascimentale, che nella Napoli della seconda metà dell’ 400 coesisteva con quello tardogotico, visibile nella forma degli archi, dei pilastri e nell’ intaglio dei battenti lignei riproducenti gli stemmi di casa Carafa.
Di fronte al palazzo si può notare la facciata barocca della chiesa di San Nicola al Nilo, dedicata al Santo patrono di Bari. Un piccolo largo ed uno scalone in pietra di piperno a doppio rampante rendono particolarmente caratteristico questo angolo del Decumano inferiore che da secoli ai lati della scala ospita due botteghe di rigattieri che espongono la loro merce davanti alla chiesa, essendo immuni sia l’ atrio che la scala dalla giurisdizione ecclesiastica, come delimitato dal cancello di accesso al portale e da due lapidi apposte sulle botteghe che indicano la sconsacrazione del luogo. Le sbarre sulle finestre ai lati della scala evidenziano la clausura che vivevano le ospiti del conservatorio annesso. Si dice che un droghiere di nome Sabato Anella raccolse i fanciulli orfani nella sua casa al tempo della rivolta di Masaniello nel 1646 e provvide, raccogliendo elemosine, alla loro cura, finchè avendogli donato il marchese de’ Mari donato il suo palazzo, fondò un conservatorio per salvaguardare le fanciulle bisognose, educate dalle suore: nacque così il monastero di clausura con la chiesetta dedicata a San Nicola di Bari, particolarmente sensibile alla cura di giovanette in difficoltà. La chiesa, a pianta centrale circolare, a croce, con otto colonne corinzie e le volte a botte, conserva sull’ altare maggiore un dipinto di Luca Giordano del 1658 raffigurante San Nicola di Bari nell’ atto di proteggere gli orfani, ora nel museo civico di Castel Nuovo.
Poco oltre la chiesa di S. Nicola al Nilo incontriamo la più imponente chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, edificata dalla corporazione dell’ Arte della Seta. La facciata è stata strutturata in due ordini sovrapposti, ionico il primo e corinzio il secondo e presenta sistemate in due nicchie laterali per ordine, le statue di San Giacomo e San Filippo di Giuseppe Sanmartino, sormontate da quella della Religione e della Fede opera di Giuseppe Picano, allievo di Sanmartino, e tutte realizzate nel 1758. Visto il numero elevato delle ragazze ospitate nel conservatorio, venne acuistato nel 1593 il palazzo del principe di Caserta per edificare il nuovo conservatorio e la chiesa dei Santi Filippo e Giacomo. La chiesa, a navata unica, con quattro cappelle laterali per lato, presenta decorazioni a stucchi, un pavimento maiolicato, raffigurante lo stemma della Corporazione della Seta, marmi policromi e opere d’ arte settecentesche. Gli affreschi nella volta della navata e le tele della tribuna raffiguranti San Filippo chi infrange gli idoli e il martirio di San Giacomo, realizzati a metà del Settecento sono di Giacomo Cestaro.
Al numero 114 di via S. Biagio, si trova il maestoso palazzo del Monte di Pietà con la chiesa annessa, fu costruito alla fine del ‘500 quale sede dell’ istituzione benfica neta per elargire prestiti a coloro che si erano indebitati con gli usurai. La cappella della Pietà in fondo al cortile, ha una facciata tardo-rinascimentale ornata da sculture di Pietro Bernini (ai lati dell’ ingresso) e Michelangelo Naccherino (nel timpano). L’ interno fu affrescato da Belisario Carenzio con il giovane Battistello nei primi anni del ‘600. La sacrestia e la sala delle Cantoniere sono settecentesche. Recentemente riaperta al pubblico, questi ambienti ed altre sale adiacenti ospitano dipinti ed oggetti d’ arte sacra provenienti dalla Cappella e dalla collezione d’ arte del Banco di Napoli che ha quì una delle sue sedi più prestigiose.
Facciamo qualche passo indietro ed imbocchiamo vico S. Severino, lo percorriamo fino ad arrivare in piazza S. Marcellino dove troviamo la chiesa dei Santi Marcellino e Festo, composta da due monasteri attigui, quelli dei Santi Marcellino e Pietro e dei Santi Festo e Desiderio, risalenti al XIII secolo, a metà del ‘500 si fusero, dando origine ad un’ unica grande struttura. La chiesa, arricchita da una raffinata decorazione di tarsie marmoree settecentesche, fu costruita nel secolo successivo. Attualmente di trova in uno stato di notevole degrado ed è chiusa al pubblico ormai da molti anni. Al suo interno un arioso chiostro dalle arcate in piperno che ha al centro un bel giardino da dove, sul lato aperto verso sud, si gode di uno straordinario panorama sul golfo. Nel 1907, per decreto reale, il complesso divenne di proprietà dell’Università degli studi di Napoli. In un ambiente vicino alla chiesa, con un bel pavimento in maioliche dipinte, è collocato il museo di paleontologia, in cui sono esposti oltre 5000 reperti.
Di fronte alla chiesa, guardando verso vico S. Severino, sulla destra possiamo vedere la facciata della chiesa dei Santi Severino e Sossio (via Bartolomeo Capasso 22), fondata nel IX secolo insieme al monastero annesso, diventato nel 1835 la sede del Grande Archivio del Regno. La chiesa fu ricostruita a partire dalla fine del ‘400 e portata a termine nel 1571. La facciata subì un altro intervento nel settecento realizzato in seguito ai danni provocati dal terremoto del 1731. All’ interno sono conservate numerose opere d’ arte di grande pregio: fra i dipinti, quelli del senese Marco Pino (prima, terza e sesta cappella a destra); fra le sculture, la tomba di Andrea Bonifacio (morto a soli 6 anni), capolavoro dello spagnolo Bartolomeo Ortonez, nel vestibolo della sacrestia. Da questo ambiente una porta conduce alla chiesa inferiore, priva di decorazioni.ve
Da piazza S. Marcellino prendiamo vico S. Marcellino alla fine del quale, svoltando a sinistra incrociamo via G. Paladino, al civico 39 c’è la chiesa Gesù Vecchio, era la sede centrale dell’ università napoletana a partire dal 1777, l’ edificio eretto alla fine del ‘500 fù il primo collegio dei gesuiti in città. Alla fine dell’ 800 l’ università fu ampliata con l’ aggiunta del grande corpo che si erge impetuoso su corso Umberto I. Dell’ antico complesso conventuale fa parte il bel cortile delle statue, dal quale è possibile salire a visitare gli ambienti in cui, dal 1808, ha sede la biblioteca universitaria con il suo patrimonio di circa 850.000 volumi. La grande sala in cui si trova la biblioteca dei gesuiti ospita dal 1801 il Museo di Mineralogia, il più importante d’ Italia e fra i più noti all’ estero. In altri ambienti del complesso sono collocati il Museo di Antropologia e quello molto interessante di Zoologia che fu istituito nel 1811 da Gioacchino Murat. Bisogna poi ritornare in via Paladino (n. 38), per visitare il sontuoso interno barocco della chiesa dell’ ex convento, iniziata nel 1564. In alcune stanze attigue alla sacrestia si trovano l’ interessante raccolta di statue da presepe a grandezza naturale, acquistata da don Placido Baccher, e un bel dipinto di Marco Pino.
Torniamo in vico San Marcellino e proseguiamo il nostro cammino prendendo prima via Capasso e poi via Arte dell Lana dove dopo pochi metri sulla destra troviamo una rampa, scendendola, toroveremo di fronte via Miroballo al Pendino, prendiamo quest’ ultima girando verso sinistra e alla fine della strada, raggiungeremo Corso Umberto I, la grande strada rettilinea, che i napoletani chiamano “Rettifilo”, che unisce la stazione centrale a piazza Giovanni Bovio. Fu aperta alla fine dell’ 800 nell’ ambito dei lavori del Risanamento. L’ edificio più importante che vi si affaccia, e che possiamo raggiungere proseguendo verso destra il nostro cammino, è quello dell’ Università degli Studi di Napoli “Federico II”, con la facciata eclettica ed imponente di stile neorinascimentale.
Da quì ci portiamo in piazza Ruggiero Bonghi (direzione porto), sulla nostra destra troviamo via Mezzocannone, risalendo la quale, alla terza traversa a sinistra, troviamo via De Marinis, da quì proseguendo arriviamo in largo S. Giovanni Maggiore dove possiamo ammirare la piccola chiesa San Giovanni dei Pappacoda, fondata nei primi anni del XV secolo da Artusio Pappacoda, Siniscalco e consigliere alla corte angioina, oggi la piccola chiesa è nota come Cappella Pappacoda. Essa è composta da un portale tardogotico che adorna la facciata di tufo come un ricamo marmoreo, realizzato da Antonio Baboccio (1351-1435), scultore, architetto e orafo che scolpì anche il portale maggiore del Duomo. Di particolare interesse è poi il campanile per il contrasto cromatico fra i materiali con cui è costruito: marmo, tufo e piperno. Attualmente la chiesa è sconsacrata e utilizzata come Aula Magna dal vicino “Istituto Universitario Orientale”.
Torniamo in via Mezzocannone per risalire verso via S. Biagio dei Librai, raggiunta la quale svoltiamo a destra e proseguiamo fino ad incrociare, sempre a destra, via del Grande Archivio dove si raggiunge, in una piazzetta, l’ ingresso dell’ Archivio di Stato, creato da Ferdinando IV di Borbone nel 1835 che destinò l’ex convento benedettino dei Santi Severino e Sossio ad accogliere l’ enorme mole di documenti raccolti sulla vita politica ed amministrativa del regno, a partire dal periodo angioino. L’ edificio risalente al IX secolo e ampliato nel 1494, fu modificato sostanzialmente in funzione della nuova destinazione. Il grande complesso ha al suo interno quattro chiostri e numerose sale ricche di opere d’ arte, è il Chiostro del Platano, per la presenza di un albero secolare, abbattuto nel 1959 perchè malato, che la tradizione voleva piantato da San Benedetto. Gli affreschi che raffigurano episodi della vita del Santo, risalenti alla prima metà del ‘500, sono opera di Antonio Solario, detto lo Zingaro. L’ Archivio che nelle sue 300 sale ospita più di un milione fra cartelle, registri, fasci di documenti e pergamene, è uno dei più importanti d’ Europa. Davanti all’ ingresso dell’ ex convento si trova la Fontana della Selleria, del XVII secolo.
Dall’ Archivio di Stato prendiamo via L. D’ Alagno per portarci in via Duomo dove al n. 288 si trova il Museo Civico Filangieri, fu costruito alla fine del ‘400 quale residenza della famiglia Cuomo, con forme del Rinascimento Fiorentino. Trasformato in monastero alla fine del ‘500, fu abbattuto durante i lavori di ampliamento di via Duomo (1879) e ricostruito fedelmente 20 metri più indietro. Nel 1882 il principe Gaetano Filangieri vi allestì la sua ricca collezione di opere d’ arte, successivamente donata alla città (1888). In gran parte dispersa durante la guerra e reintegrata da donazioni private, la raccolta è composta da oggetti di varia tipologia e provenienza. Armi, mobili, dipinti, medaglie, porcellane, monete e costumi.
Adiacente a palazzo Cuomo è la chiesa di San Severo a Pendino, dedicata al vescovo Severo. Fu edificata nel 1448 per volere di Pietro Caracciolo abate della basilica di S. Giorgio Maggiore. Nel 1575 fu concessa ai padri dominicani che provvidero, all’ inizio del ‘600, a restaurarla affidandone il progetto all’ architetto Giovan Giacomo di Conforto, ed unirla al monastero realizzato in palazzo Cuomo. La chiesa fu arricchita dal monumento sepolcrale di Gianalfonso Bisvallo, marchese d’ Umbriatico, opera di Girolamo d’ Auria (1617, da cui proviene il S. Giovanni Battista del transetto destro), di un dipinto di Luca Giordano posto sopra l’ Altare maggiore, di un rilievo in terracotta raffigurante Santa Maria in Selice, anch’ esso di Girolamo d’ Auria.
Al n. 237/a troviamo la chiesa di San Giorgio Maggiore, completamente ristrutturata a metà del ‘600 su progetto di Cosimo Fanzago, è una delle chiese più antiche della città. Della sua costruzione originaria, di epoca paleocristiana, conserva l’abside semicircolare con colonne dai capitelli corinzi, all’ ingresso della chiesa seicentesca, edificata con diverso orientamento rispetto a quella preesistente. La navata destra della struttura realizzata da Fanzago fu abbattuta alla fine dell’ 800 per costruire via Duomo. Gli affreschi della terza cappella sono di Francesco Solimena. Prima di visitare la chiesa, consigliamo di fare una sosta a palazzo Marigliano (n. 39); anche se fatiscente, è una delle più importanti architetture civili del’ 500 napoletano.
Prendiamo via Vicaria Vecchia e poi via Forcella dove sulla sinistra incrociamo via dell’ Annunziata, al numero 35 possiamo ammirare la Basilica della Santissima Annunziata, nata come istituzione benefica già all’ inizio del Trecento, il cui scopo era soccorrere i bambini abbandonati. La chiesa fu distrutta da un incendio nel 1757 e ricostruita da Luigi e Carlo Vanvitelli con la grandiosa cupola ed il luminoso interno a navata unica con 44 colonne corinzie e tre cappelle per lato. Dall’ incendio sono scampati la sacrestia con affreschi di Carenzio (1605) e armadi del ‘500 a tarsie lignee. A sinistra della chiesa un portale di marmo, che conserva ancora i battenti del ‘500, conduce all’ ex brefotrofio, oggi adibito ad ospedale, e di cui resta traccia nella ruota dove si deponevano i neonati abbandonati.
Usciti dalla chiesa ci portiamo in via A. Ranieri (qualche metro sulla destra), attraversiamo Corso Umberto I ed imbocchiamo, di fronte a noi, via Lavinaio che ci conduce direttamente in piazza del Carmine dove troviamo la Basilica di Santa Maria del Carmine che per i napoletani ha una rilevante importanza per le tante opere d’ arte che conserva, ma soprattutto per il culto della Madonna Bruna, raffigurata in un dipinto del XIV secolo custodito dietro l’ altare maggiore. A questa famosa effige, oggetto di un culto profondo e molto sentito, è dedicata il 16 luglio la celebre festa popolare della Madonna del Carmine, durante la quale si simula l’ incendio del campanile. Se si esclude la crociera sul presbiterio, l’ edificio conserva poche tracce dell’ originaria costruzione di epoca angioina e mostra, sia all’ esterno sia all’ interno, forme tipicamente settecentesche. L’ interno fu decorato da Tagliacozzi Canale, il soffitto distrutto durante l’ ultima guerra, è stato completamente ricostruito riproducendone l’ aspetto originario. A sinistra della navata è sepolto Corradino di Svevia, decapitato nel 1268 nella piazza antistante la chiesa. Anche il crocifisso ligneo di epoca medievale posto in un tabernacolo sotto l’ arco trionfale è molto noto e venerato dai fedeli. Nei bracci del transetto si trovano affreschi e dipinti di Solimena. Portato a termine da Fra Nuvolo nel 1631, il campanile, con i suoi 75 metri, è il più alto di tutta Napoli. Davanti alla chiesa dal 1268, anno in cui venne giustiziato Corradino di Svevia a soli 16 anni per mano degli angioini, si stabilì che quello doveva essere il luogo delle esecuzioni capitali.
Usciti dalla chiesa ci portiamo in via A. Ranieri (qualche metro sulla destra), attraversiamo Corso Umberto I ed imbocchiamo, di fronte a noi, via Lavinaio che ci conduce direttamente in piazza del Carmine dove troviamo la Basilica di Santa Maria del Carmine che per i napoletani ha una rilevante importanza per le tante opere d’ arte che conserva, ma soprattutto per il culto della Madonna Bruna, raffigurata in un dipinto del XIV secolo custodito dietro l’ altare maggiore. A questa famosa effige, oggetto di un culto profondo e molto sentito, è dedicata il 16 luglio la celebre festa popolare della Madonna del Carmine, durante la quale si simula l’ incendio del campanile. Se si esclude la crociera sul presbiterio, l’ edificio conserva poche tracce dell’ originaria costruzione di epoca angioina e mostra, sia all’ esterno sia all’ interno, forme tipicamente settecentesche. L’ interno fu decorato da Tagliacozzi Canale, il soffitto distrutto durante l’ ultima guerra, è stato completamente ricostruito riproducendone l’ aspetto originario. A sinistra della navata è sepolto Corradino di Svevia, decapitato nel 1268 nella piazza antistante la chiesa. Anche il crocifisso ligneo di epoca medievale posto in un tabernacolo sotto l’ arco trionfale è molto noto e venerato dai fedeli. Nei bracci del transetto si trovano affreschi e dipinti di Solimena. Portato a termine da Fra Nuvolo nel 1631, il campanile, con i suoi 75 metri, è il più alto di tutta Napoli. Davanti alla chiesa dal 1268, anno in cui venne giustiziato Corradino di Svevia a soli 16 anni per mano degli angioini, si stabilì che quello doveva essere il luogo delle esecuzioni capitali.
Prendiamo via Vicaria Vecchia e poi via Forcella dove sulla sinistra incrociamo via dell’ Annunziata, al numero 35 possiamo ammirare la Basilica della Santissima Annunziata, nata come istituzione benefica già all’ inizio del Trecento, il cui scopo era soccorrere i bambini abbandonati. La chiesa fu distrutta da un incendio nel 1757 e ricostruita da Luigi e Carlo Vanvitelli con la grandiosa cupola ed il luminoso interno a navata unica con 44 colonne corinzie e tre cappelle per lato. Dall’ incendio sono scampati la sacrestia con affreschi di Carenzio (1605) e armadi del ‘500 a tarsie lignee. A sinistra della chiesa un portale di marmo, che conserva ancora i battenti del ‘500, conduce all’ ex brefotrofio, oggi adibito ad ospedale, e di cui resta traccia nella ruota dove si deponevano i neonati abbandonati.
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