Itinerario Decumani
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Iniziamo il nostro cammino da piazza Dante, che nei secoli ha assunto diversi nomi. Fino al XVIII secolo era uno spazio fuori dalle mura dove si teneva il mercato e si chiamava largo del Mercatello. Nella seconda metà del ‘700 la piazza assunse l’ aspetto attuale e si chiamò foro Carolino, dal nome del re Carlo di Borbone che ne volle la sistemazione. L’ emiciclo con colonne di ordine gigante fu progettato da Luigi Vanvitelli come cornice ad una statua del re che avrebbe dovuto occupare il nicchione centrale ma che non fu mai realizzata. Le 26 figure del cornicione sono allegorie delle virtù del sovrano. Dopo l’ unità d’ Italia al centro della piazza fu posta la statua di Dante, da cui il nome attuale.
A sinistra della piazza si trova via Port’ Alba, aperta nel 1625 per collegare la città con i borghi fuori le mura. Port’ Alba prende il nome da Don Antonio Álvarez de Toledo, duca d’ Alba e discendente di Don Pedro de Toledo, viceré spagnolo. Fu l’architetto Pompeo Lauria a ricevere la commissione dal Duca d’Alba per la costruzione dell’opera e decise di aprire un passaggio nel torrione che fu chiamato appunto Port’ Alba e fu decorato con tre stemmi: uno di Filippo III, uno della città di Napoli e uno del Viceré. Nel 1656 il pittore Mattia Preti decorò la porta con alcuni affreschi, con raffigurazioni della Vergine con San Gennaro e San Gaetano e la scena dei moribondi appestati, mentre la collocazione della statua di San Gaetano, proveniente dalla demolita Porta dello Spirito Santo, è del 1781.
Riportiamoci sulla strada principale ed incamminiamoci verso destra, prendiamo così via Pessina, chiamata già via Museo Nazionale e prima ancora Fosse del Grano, da quì svoltiamo a destra in via Conte di Ruvo dove possiamo ammirare la bellezza del Teatro Bellini. La sua inaugurazione risale al 6 febbraio 1878 e per circa 15 anni la sua programmazione fu principalmente lirica, poi si aprí alla prosa dialettale e per alcuni anni divenne sede stabile della compagnia di Edoardo Scarpetta. In seguito, al principio del ‘900, il Bellini divenne un tempio dell’operetta, prima, e della rivista e della canzone, poi, accogliendo, saltuariamente, rappresentazioni di prosa. Dalla sua costruzione fino al primo dopoguerra è stato cuore della vita culturale della buona società napoletana. Nel secondo dopoguerra cominciò un lento declino, determinato dal cambiamento delle abitudini sociali e nel 1962, il teatro Bellini ospitò il suo ultimo spettacolo. Nell’autunno del 1988, con la messa in scena dell’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht per la regia dello stesso Tato Russo, il Bellini ridiventò un teatro. Oggi sono numerosi gli spazi della struttura aperti al pubblico: l’antica sala grande e, accanto, il Piccolo Bellini, una sala dedicata alla programmazione di spettacoli del circuito off, lo store Laterzagorà, ospitato nel foyer del teatro, che è insieme libreria e spazio dedicato a laboratori per bambini e presentazioni di libri, il Sottopalco, il bar/bistrot dove si organizzano mostre e session di musica dal vivo. L’antico edificio è diventato un vero e proprio hub della cultura, punto di riferimento e crocevia di un pubblico decisamente trasversale.
Di fronte in via Bellini al n. 36 possiamo ammirare la facciata dell’ Accademia di Belle Arti, ex convento settecentesco di San Giovanni delle Monache, l’ edificio fu ristrutturato dall’ architetto Enrico Alvino poco dopo la metà del ‘800. La costruzione rispecchia il gusto neorinascimentale dell’ epoca; un ampio scalone con calchi in gesso di opere antiche conduce al primo piano in cui si può notare la traccia del chiostro dell’ antico monastero. L’ Accademia ha un’ importante collezione di dipinti di arte moderna, in particolare dell’ 800 napoletano e meridionale.
Proseguiamo il nostro cammino portandoci di nuovo in via Conte di Ruvo e svoltando a sinistra fino ad incrociare via S. Maria di Costantinopoli, proprio di fronte a noi possiamo vedere la chiesa di S. Maria della Sapienza, appartenuta ad uno dei più importanti monasteri della città, dove nel primo ‘500 (1519), fu istituito un convento di Clarisse, che divenne sempre più ricco e che, soppresso nell’ 800 (1886), fu poi demolito per consentire la costruzione del policlinico. Nel seicento, le commissioni volute dalle monache resero la chiesa uno dei maggiori santuari del barocco napoletano, con il maestoso altare maggiore in marmi policromi e commessi.
Proprio di fronte alla chiesa di Santa Maria della Sapienza possiamo vedere il monastero di S. Giovanni Battista delle Monache, fatto erigere nel 1673 dalle suore dominicane, in aperta competizione con quello della Sapienza, i lavori furono diretti dall’ architetto Antonio Picchiatti, completati nel ‘700 da Giovan Battista Nauclerio, autore della splendida facciata della chiesa.
Ci dirigiamo verso sinistra e ci portiamo poi in Piazza Bellini, l’ area che la comprende, insieme a via Santa Maria di Costantinopoli, rimase esterna alla città fino alla metà del ‘500, quando il vicere Pedro de Toledo fece ampliare la cinta muraria. La piazza è circondata da palazzi monumentali dei secoli XVI e XVII che costituiscono importanti impronte dell’arte rinascimentale e barocca napoletana, come il Palazzo Castriota Scanderbeg o il palazzo Firrao. Sulla stessa piazza possiamo vedere anche il complesso di Sant’ Antonio delle Monache a Port’ Alba, costruito incorporando il quattrocentesco Palazzo Conca. Sul lato opposto vi è palazzo Firrao, (n. 99), una delle principali architetture civili del ‘600 napoletano, con una bellissima facciata adorna dei busti dei reali di Spagna. Al centro dello slargo, ai piedi del monumento a Bellini, uno scavo del 1954 ha portato alla luce i resti di un tratto delle mura greche di Neapolis.
Proseguiamo il nostro cammino spostandoci da piazza Bellini per portarci al vicino complesso di San Pietro a Maiella, al n. 4 dell’ omonima via, quì nel convento (n. 35) anticamente annesso alla chiesa ha sede, dal 1826, uno dei più importanti conservatori di musica italiani, del quale vale la pena visitare il bel cortile. La chiesa, fu dedicata dal nobile fondatore Pipino di Barletta a Pietro da Morrone, il frate eremita della Maiella, salito al pontificato nel 1294 con il nome di Celestino V. Un restauro iniziato nel 1888 e terminato nel 1927 ha ripristinato le forme gotiche originarie, alterate da interventi eseguiti nei secoli successivi alla fondazione del complesso, riportando alla luce affreschi trecenteschi in due cappelle della zona presbiteriale. L’ eliminazione delle decorazioni barocche ha lasciato intatto lo splendido soffitto in legno dorato in cui sono incassati i dipinti di Mattia Preti, che costituiscono una delle massime espressioni della pittura napoletana del Seicento.
Superata la chiesa di San Pietro a Maiella incontriamo in piazza Luigi Miraglia la chiesa della Croce di Lucca. Il cinquecentesco complesso monastico dedicato alla Santa Croce del Duomo di Lucca, fu fondato da alcune devote suore lucchesi ed ospitò in clausura le suore Carmelitane. Fu ampliato a metà del ‘700 con un chiostro realizzato dall’ architetto Francesco Antonio Picchiatti. Il Sindaco di Napoli Luigi Miraglia, nel 1903 decretò che venisse abbattuto il monastero della Croce di Lucca incontrando la pubblica protesta degli intellettuali napoletani che guidati da Benedetto Croce e costituendo (con Giuseppe Ceci, Salvatore Di Giacomo, Michelangelo Schipa, Francesco Torraca, Ludovico de la Ville Sur-Yllon ed altri) il gruppo dei collaboratori della rivista Napoli nobilissima, nata per recuperare la memoria storica dell’ arte napoletana, ottennero che fosse salvata quasi completamente la chiesa che dovette subire, però, il taglio dell’ abside. Nel corso degli anni la chiesa ha subito numerosi furti ed ha perso gran parte delle sue opere d’ arte mantenendo soltanto il prezioso soffitto ligneo a cassettoni di epoca barocca con il dipinto attribuito alla scuola di Battistello Caracciolo raffigurante la Madonna del Carmine e Santi; nella terza cappella destra, inoltre, si conservano i comunichini dalla elegante cornice mistilinea in marmo disegnati da Ferdinando Sanfelice e la restaurata Annunciazione (1600) del tardomanierista Giovanni Vincenzo Forlì.
Più avanti all’ inizio di via Tribunali, troviamo la Cappella Pontano, una piccola cappella gentilizia commissionata nel 1492 dal celebre umanista Giovanni Pontano, segretario del re Ferdinando D’ Aragona. Edificata sullo schema di un tempio pagano, la splendida costruzione rappresenta uno degli episodi architettonici più significativi del Rinascimento napoletano. All’ interno della cappella si possono ammirare il trittico ad affresco di Francesco Cicino da Caiazzo (restaurato nel 1792) e il pavimento quattrocentesco, realizzato in mattonelle policrome e ben conservato. Le frasi latine delle numerosi epigrafi furono scritte dallo stesso Pontano.
Nella piazza antistante la cappella si erge la chiesa S. Maria Maggiore della Pietrasanta, questo maestoso edificio a pianta centrale, sorto sulle rovine di una preesistente basilica paleocristiana, prende il nome dalla pietra con la croce incisa, oggetto di grandissima venerazione popolare, che vi era custodito fino a pochi anni fa. Progettata dall’ architetto Cosimo Fanzago, nella cripta sono state trovate tracce della chiesa primitiva. Sempre all’ antica basilica apparteneva il campanile, esempio unico a napoli di struttura architettonica altomedievale, databile fra il X e l’ XI secolo, nelle pareti della zona inferiore del campanile sono inseriti numerosi frammmenti di edifici precedenti, dall’ età romana in poi. Anticamente la strada, che si trovava ad una quota più bassa, passava sotto l’ arco del campanile.
Riprendiamo il nostro cammino in via Tribunali dove al numero 39 troviamo la chiesa di S. Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco. E’ ancora oggi di proprietà dell’ omonima confraternita nata nel 1604 per raccogliere elemosine da destinare alle messe in suffragio dei defunti. Sulle colonnine in piperno davanti alla facciata, sulla stessa facciata ed all’ interno della chiesa, possiamo notare una nutrita schiera di teschi, tibie incrociate ed altri motivi funebri, che testimoniano l’ importanza del culto dei morti nella Napoli del Seicento. Nella zona absidale l’ inquietante altorilievo con un teschio alato è di Cosimo Fanzago, cui di deve anche il progetto complessivo della chiesa. Una scala a sinistra dell’ ingresso porta al grande cimitero ipogeo dove ancora si manifesta, in modi non molto graditi alla Chiesa, il culto popolare rivolto alle anime del purgatorio, dette anime “pezzentelle”.
Mentre passeggiamo in via Tribunali non deve passare inosservata l’ architettura di questa strada che, anche se attualmente trascurata, in passato ha avuto una fondamentale importanza per questa città, diamo uno sguardo ad esempio agli Archi, che si trovano sotto i portici appena dopo la chiesa di S. Maria delle anime del Purgatorio ad Arco. L’ architettura di questi portici risale sicuramente ad un’ epoca anteriore al 1374. Essi sono di grande interesse per la storia delle arti essendovi l’ arco a sesto acuto misto a quello circolare, fissando l’ epoca in cui a napoli l’ architettura si spoglia dallo stile gotico e comincia a modellarsi a quello greco-romano che caratterizza l’ inizio del rinascimento. Questi portici costruiti con pietre di piperno, furono edificati per volere di Filippo II di Valois fratello del re Roberto imperatore di Costantinopoli morto tra il 1368 ed il 1374.
Giunti in piazza San Gaetano, sulla sinistra, troviamo la chiesa di San Paolo Maggiore, in piazza San Gaetano, che nella città greco-romana, era il luogo dell’ Agorà e poi del Foro, Nella zona dove sorge la chiesa vi era il tempio dei Dioscuri, che alla fine dell’ VIII secolo fu trasformato in una basilica paleocristiana. La chiesa antica è stata modificata tra il 1583 ed il 1603 su progetto di Francesco Grimaldi. Il nuovo edificio, a croce latina a tre navate, incorporò nella facciata il pronao del tempio pagano ci cui, dopo il terremoto del 1688, sono rimaste solo due colonne corinzie. Nell’ interno, ricco di decorazioni, si possono ammirare gli affreschi di Massimo Stanzione, posti sulla volta della navata centrale, in parte danneggiati dai bombardamenti. La Cappella Firrao, che si trova a sinistra dell’ abside, è ricca di scutlure e affreschi seicenteschi; gli splendidi dipinti della sacrestia sono opera di Francesco Solimena (1689-90). Una scala conduce alla cripta, alla quale si può accedere anche dall’ esterno.
Su lato opposto troviamo la chiesa di San Lorenzo Maggiore, un complesso monumentale fra i più antichi e ricchi di Napoli. E’ stato costruito per volere di Carlo I D’ Angiò a partire dal 1625 dove un tempo sorgeva una basilica paleocristiana del VI secolo. La facciata rifatta da Sanfelice nel 1742, conserva il portale trecentesco e i battenti lignei originari. L’interno gotico a navata unica ha un’ abside progettata da architetti francesi, con nove cappelle poste a raggiera intorno a un corridoio; porcorrendolo si può ammirare il sepolcro di Caterina d’ Austria, opera di Tino di Camaino e, nella sesta cappella da destra, affreschi di un seguace napoletano di Giotto. L’ altare maggiore in marmo, della prima metà del XVI secolo, è opera di Giovanni da Nola. In San Lorenzo Boccaccio vide per la prima volta la fanciulla che cantò nelle sue opere con il nome di Fiammetta. Sulla destra della chiesa si estende l’ edificio del convento, di cui è possibile visitare il chiostro, la sala capitolare e quella del refettorio che, a partire dal 1442, fu sede delle riunioni del Parlamento del regno. Dal chiostro si accede all’ area degli scavi che hanno messo in luce importanti resti dell’ antica città greco-romana, fra i quali un macellum e una vasta area sottostante in cui si possono riconoscere l’ edificio in cui aveva sede l’ aerarium (tesoro pubblico) e una strada fiancheggiata da botteghe.
Prendiamo ora la via degli artigiani di presepi dove possimo visitare il convento di San Gregorio Armeno, dal quale prende il nome l’ omonima via. Fondato nell’ VIII secolo da un gruppo di monache fuggite da Bisanzio con le reliquie di San Gregorio per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste, è uno dei più significativi complessi religiosi della città. Il monastero fu ricostruito nel ‘500 ed ampliato nel secolo successivo. Il bel campanile che domina via S. Gregorio fu eretto nel 1716 su un cavalcavia che univa due parti del complesso. La chiesa ha un sontuoso interno barocco; la decorazione fu ideata a metà ‘700 da Niccolò Tagliacozzi Canale, e fu definita “stanza di Paradiso in terra” da Carlo Celano in una sua guida di Napoli. Pregevoli il soffitto ligneo tardo-cinquecentesco, i due organi e nella controfacciata, gli affreschi del Giordano con L’ imbarco, il viaggio e l’ arrivo delle monache armene con le reliquie del santo. Nel chiostro, fra le piante di agrumi, spicca la fontana con il Cristo e la Samaritana realizzata da Bottigliero nel 1733. Dal chiostro si accede alla Cappella della Madonna dell’ Idria che, De Matteis decorò nel 1712.
Continuiamo il nostro cammino in via Tribunali, giungendo ad un certo punto in piazza Gerolamini do troviamo il complesso conventuale dei Gerolamini. Fu fondato alla fine del ‘500 dalla congregazione dell’ Oratorio di San Filippo Neri, chiamato così perchè proveniente dalla chiesa romana di San Girolamo alla Carità. In stile rinascimentale toscano, la chiesa fu all’ interno ai primi del ‘600; la facciata fu modificata nel 1780 da Ferdinando Fuga. L’ interno barocco fu decorato da Luca Giordano, Pietro da Cortona e Guido Reni. Nell’ edificio della Casa Oratoriana vi sono due chiostri: il primo, progettato da Giovanni Dosio, ricorda in piccolo quello realizzato dallo stesso architetto per la Certosa di San Martino; ha un aranceto al centro. La Quadreria conserva opere soprattutto del ‘600 e del ‘700. La biblioteca ricca di circa 60.000 volumi, ha tre arredi e decorazioni settecenteschi. Attualmente la chiesa è chiusa per restauri, è possibile visitare i Chiostri, la biblioteca e la Quadreria con ingresso da via Duomo, 142; mentre la cappella dell’ Assunta ha il suo ingresso al n. 144.
Ci portiamo adesso in via Duomo dove al civico 147 possiamo ammirare l’ elegante e maestosa bellezza del Duomo. La grande Cattedrale fu edificata per volere di Carlo I D’ Angiò tra la fine del ‘200 e l’ inizio del secolo successivo. La chiesa angioina, sorta incorporando edifici preesistenti di epoca paleocristiana, subì molti interventi di modifica nei secoli successivi. Dalla navata sinistra si accede all’ antica basilica di Santa Restituta, stravolta da un restauro risalente al ‘600, e al battistero di San Giovanni in Fonte. La Cappella Minutolo conserva la struttura e la decorazione a mosaico e gli affreschi duecenteschi di Montano d’ Arezzo. Il succorpo fu realizzato nel ‘500 nell’ area sottostante l’ abside per collocarvi le reliquie di San Gennaro, fino ad allora custodite nel santuario di Montevergine. All’ inizio del ‘600 fu edificata la Cappella del Tesoro di San Gennaro, per ringraziare il Santo dopo la fine dell’ epidemia di peste del 1527. Visto che ci troviamo quì, non possiamo dare uno sguardo alla via che ospita la chiesa dedicata al Santo Patrono della città. Anticamente chiamata dai romani “radii solis”, era compresa nel cardine che segnò il primo tracciato di questa strada, la quale prima del 1860, quando si operò l’ allargamento dell’ attuale via Duomo, nella parte superiore si chiamava ancora vicolo del Tari. Dopo la guerra 1915-18 fu chiamata per poco via Woodrow Wilson che Doria definisce “ingenuo sognatore” e che all’ epoca era ancora in vita; ben presto però la via ritornò al più giusto via Duomo.
Prendiamo ora la via degli artigiani di presepi dove possimo visitare il convento di San Gregorio Armeno, dal quale prende il nome l’ omonima via. Fondato nell’ VIII secolo da un gruppo di monache fuggite da Bisanzio con le reliquie di San Gregorio per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste, è uno dei più significativi complessi religiosi della città. Il monastero fu ricostruito nel ‘500 ed ampliato nel secolo successivo. Il bel campanile che domina via S. Gregorio fu eretto nel 1716 su un cavalcavia che univa due parti del complesso. La chiesa ha un sontuoso interno barocco; la decorazione fu ideata a metà ‘700 da Niccolò Tagliacozzi Canale, e fu definita “stanza di Paradiso in terra” da Carlo Celano in una sua guida di Napoli. Pregevoli il soffitto ligneo tardo-cinquecentesco, i due organi e nella controfacciata, gli affreschi del Giordano con L’ imbarco, il viaggio e l’ arrivo delle monache armene con le reliquie del santo. Nel chiostro, fra le piante di agrumi, spicca la fontana con il Cristo e la Samaritana realizzata da Bottigliero nel 1733. Dal chiostro si accede alla Cappella della Madonna dell’ Idria che, De Matteis decorò nel 1712.
Al numero 253 della via che stiamo percorrendo si trova poi il Pio Monte della Misericordia, che è la sede di una delle più importanti istituzioni benefiche della città, ancora oggi attiva, sorta nel 1601 per assister poveri ed ammalati e riscattare gli schiavi cristiani dalle mani degli infedeli. Attraversato il porticato a cinque arcate, dove sostavano i pellegrini, adorno delle sculture di Andrea Falcone, si accede alla chiesa dell’ Opera pia, realizzata, come tutto l’ edificio, su progetto di Francesco Antonio Picchiatti nella seconda metà del ‘600. Al suo interno spicca lo straordinario dipinto posto sull’ altare maggiore: Le sette opere di Misericordia, capolavoro di Mechelangelo Merisi da Caravaggio, uno dei massimi pittori italiani del ‘600. Nella pinacoteca al primo piano del palazzo è esposta l’ importante collezione del Pio Monte.
Poco più avanti incrociamo il popolarissimo vico Scassacocchi, del quale si è parlato in alcuni film di Totò e Peppino De Filippo ed in qualche antica canzone napoletana, che raccontava le vicissitudini degli abitanti di questa strada. Sul suo nome ci sono diverse ipotesi, una tra queste racconta che nella vicina chiesa dell’ Assunta, detta anche di Santa Maria la Bruna dei Caraccioli, era annessa la Congrega degli Scassacocchi; un’ altra ipotesi più verosimile narra che una volta il vicolo era una via di passaggio per le carrozze che si dirigevano verso i Tribunali, le quali considerata la sua ristrettezza, urtavano spesso coi mozzi contro il muro, riportando gravi danni alle ruote. Di quì Scassacocchi.
Scendiamo ancora fino a trovare sulla destra la chiesa di Santa Maria della Pace, con l’ annesso ospedale, così denominata affinchè la Madre di Dio potesse concedere per sempre la pace ai cristiani. La chiesa fu inaugurata nel 1638. Di particolare rilievo è il portale in marmi bianchi e grigi, attribuito a Dionisio Lazzari. Nel lato destro della chiesa fu eretta una cappella in onore del Beato Giovanni di Dio.
Proprio alla fine di via Tribunali troviamo Palazzo Ricca. Sede dal 1819 dell’ Archivio Storico del Banco di Napoli, il cinquecentesco edificio si presenta oggi nelle forme assunte dopo il lungo intervento di ristrutturazione del XVIII secolo. Appartenuto a Gaspare Ricca, fu adibito nel 1616 a sede del Monte dei Poveri, istituto di credito nato per fornire assistenza ai carcerati. La cappella in fondo al cortile, conserva dipinti di Luca Giordano (1673) e Francesco Solimena (1686).
Sul lato opposto della strada possiamo vedere la chiesa di Santa Maria del Rifugio, istituita per accogliere giovani orfanelle o con famiglie in difficoltà e che diventò con il tempo uno dei luoghi di culto più onorati dai napoletani. La chiesa conserva dipinti nel soffitto risalenti al ‘600 ed una decorazione marmorea del primo ‘700 di Pietro Ghetti.
Usciti da via Tribunali ci troviamo di fronte Castel Capuano. La reggia-fortezza costruita dai normanni nel 1165 a difesa della vicina porta di accesso alla città, mantenne il ruolo di residenza reale per angioini ed aragonesi anche dopo la costruzione di Castel Nuovo. Nel 1540 Don Pedro de Toledo destinò l’ edificio a sede unica dei tribunali napoletani, funzione che conserva ancora oggi. Al primo piano si trova il vasto salone affrescato della Corte d’ Appello dal quale si accede alla cappella della Sommaria, splendido ambiente rinascimentale decorato dal pittore spagnolo Pietro Roviale.
Poco distante dal “palazzo di giustizia” possiamo vedere Porta Capuana, di origine antica ma ricostruita nelle forme attuali alla fine del ‘400 su progetto di Giuliano da Maiano. Le due torri chiamate Onore e Virtù, racchiudono il bellissimo arco marmoreo secondo uno schema simile a quello dell’ Arco di Trionfo di Castel Nuovo.
Sulla sinistra della Porta della città si trova la chiesa di Santa Caterina a Formiello, che con un’ imponente cupola domina la zona circostante, fu chiamata così perchè sorse accanto ai “formali” d’ acqua, gli antichi acquedotti cittadini. L’ edificio, costruito nel ‘500, è parte significativa di un antico convento, divenuto nell’ 800 lanificio militare. Esso presenta all’ interno una raffinata decorazione barocca. Gli affreschi sono di Luigi Garzi e Guglielmo Borremans fra il 1695 ed il 1709. Nella zona absidale sono custodite le sepolture marmoree della famiglia Spinelli.
Usciti dalla chiesa prendiamo via Carbonara e poi la quinta traversa a sinistra, via S. Sofia, la percorriamo tutta fino a giungere in via S.S. Apostoli e poi in via Donnaregina dove sulla sinistra possiamo vedere il Palazzo Arcivescovile. Fu costruito nel 1389 per volontà del cardinale Enrico Minutolo, arcivescovo di Napoli, sul sito di un’ antica basilica paleocristiana, di cui sono emerse vestigia del quadriportico. Fatta eccezione del bel portale laterale tardogotico, il palazzo presenta oggi l’ aspetto acquisito a seguito delle ristrutturazioni seicentesche promosse dai Cardinali Decio Carafa (1613) e, soprattutto, Ascanio Filomarino (1643-50), che lo rese più ampio e sfarzoso incaricando l’ abile architetto Bonaventura Presti.
Nella piazza antistante vediamo la chiesa di Santa Maria di Donnaregina Nuova, fatta costruire all’ inizio del ‘600 dalle clarisse del convento di Santa Maria di Donnaregina inglobando la vecchia chiesa nell’ ala di clausura. I due edifici che comunicavano attraverso le zone absidali, furono separate in un restauro del 1928-34 che ha restituito all’ edificio trecentesco le forme originarie, ma ha modificato l’ impianto della costruzione seicentesca. L’ interno ha navata unica ha una ricca decorazione in marmi policromi a motivi floreali. Il coro delle monache conserva pregevoli affreschi di Francesco Solimena. Oggi sede del Museo MADRE di Napoli.
Sulla destra della chiesa una strada ci conduce al monastero di Santa Maria di Donnaregina Vecchia, la cui prima fondazione risale all’ VIII secolo. Nel 1293 furono completamente ricostruiti il monastero e la chiesa per volere di Maria d’ Ungheria moglie di Carlo II d’ Angiò. L’ interno della chiesa, a navata unica terminante in un’ abside pentagonale, fu realizzato su due livelli per creare una zona appartata destinata alle monache di clausura. Nella parte inferiore vi è l’ elegante sepolcro in marmo della regina fondatrice del complesso, opera di Tino da Camaino (1325-26). Nella parte superiore, con accesso da una scala a destra dell’ ingresso, si può ammirare il più vasto ciclo di affreschi trecenteschi esistente a Napoli, realizzato da pittori romani e locali seguaci di Giotto, intorno al terzo decennio del XIV secolo.
Proseguiamo il nostro cammino prendendo via Donnaregina, dopo aver attraversato via Duomo, prendiamo Via S. Giuseppe dei Ruffi. Subito sulla destra possiamo vedere la chiesa di San Giuseppe dei Ruffi, edificata da Caterina e Ippolita dei Ruffo di Bagnara, nobile famiglia di Calabria, insieme a Cassandra Caracciolo e Caterina Tomacelli. La chiesa, disegnata dall’ architetto Dionisio Lazzari, che edificò la struttura e l’ altare maggiore, fu inaugurata nel 1682, dopo una sospensione dei lavori a causa di una lite con il monastero di Donnaregina; la facciata con la loggia e scala a doppio rampante e atrio coperto, ad imitazione della chiesa di Santa Maria della Sapienza progettata da Cosimo Fanzago, realizzata in stile barocco napoletano da Arcangelo Guglielmelli. L’ interno ad una navata presenta cappelle laterali e volte a botte, oltre ad altari in marmi policromi ed alcune opere d’ arte notevoli quali il complesso marmoreo nel transetto sinistro, con i Santi Pietro e Paolo attribuiti a Giuseppe Sanmartino, i Santi Pietro e Paolo (1760-65) e la Santissima Trinità con Santi di Luca Giordano, che sormonta l’ altare maggiore; la cupola fu affrescata nel 1748 con il Trionfo di San Giuseppe da Francesco De Mura. Continuiamo il nostro cammino seguendo la strada che fiancheggia la chiesa appena visitata, entriamo così in via Anticaglia una tra le strade più antiche di Napoli perchè in origine quì vi era la “Summa Plateia” della città greca e più tardi il “Decumano Superiore” della città romana. L’ Anticaglia prende il nome da due archi di epoca romana che attraversavano in due punti la strada e che servirono a contenere le spinte del muro esterno del teatro romano, che con il vicino “Odeon” coperto, si trovava lungo il percorso del maggiore decumano.
Oltrepassati i resti romani, svoltando subito a destra, una deviazione ci conduce in via Armanni, e risalendo la strada fino in cima, troviamo l’ ospedale degli Incurabili, che racchiude il preziosissimo ambiente della Farmacia, in cui, la successione delle sale: controspezieria, sala grande, laboratori; mostra un rigoroso controllo degli spazi connesso all’efficienza di una moderna farmacia insieme ad una sapiente armonia costruita dai rimandi di colore dalle “riggiole” alle maioliche, dagli stigli agli intagli dorati., su scaffali di noce, sono conservati circa 400 vasi di maiolica policroma, a costituire un vero e proprio museo dell’ arte ceramica napoletana. Splendide porte scorrevoli chiudono questo scrigno. L’ambiente è coronato dalla tela del Bardellino che decora il soffitto e rappresenta Macaone cura Menelao ferito (1750), tema ispirato alle ferite descritte da Omero nell’Iliade. Notevoli gli intagli dorati del Di Fiore: la controspezieria presenta una raffigurazione tradizionalmente interpretata come un’allegoria dell’utero virginale, la grande sala invece è dominata da un utero sezionato, come per un taglio cesareo longitudinale.Le rampe conducono alla Loggia impreziosita da portali marmorei sormontati da vasi e mascheroni diabolici simboleggianti la doppia natura del farmaco: da un lato guarisce, dall’altro può divenire veleno.
Proseguiamo per via Pisanelli fino a raggiungere la chiesa di Santa Maria Regina Coeli nella piazzetta omonima. Fu costruita alla fine del ‘500 sul luogo del palazzo Montalto, acquistato dalle monache agostiniane. Il nome fu scelto in riferimento all’ episodio miracoloso verificatosi nel giorno dell’ Assunta del 1533, quando le suore riuscirono a scampare ad un sicuro disastro. Se la facciata si presenta ancora nella semplice veste del Cinquecento, il resto dell’ edificio fu oggetto di vari interventi per circa due secoli e si possono trovare documentate tutte le epoche della cultura pittorica a Napoli, a partire dai fiamminghi di fine Cinquecento.
Continuiamo il nostro cammino proseguendo dritto per via della Sapienza, una volta incrociato via Costantinopoli svoltiamo a Destra percorrendola fino ad incontrare, sulla sinistra, la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, il cui monastero prima di essere tagliato dall’ apertura di via Broggia giungeva fino a quello di San Giovanni Battista delle Monache. Venne realizzata nel 1586 come voto per lo scampato pericolo della peste e poi modificata tra il 1603 ed il 1608 da fra Giuseppe Nuvolo; alla sua opera si deve il rivestimento in maioliche policrome della cupola e il disegno della pianta dell’ interno a croce latina. La facciata strutturata su due ordini con timpano superiore, e con lesene con capitelli corinzi, finte finestre e portali minori ai lati, presenta sopra il portale principale una targa in memoria della salvezza dalla peste. L’ interno è stato arricchito da Cosimo Fanzago che vi lavorò tra il 1620 ed il 1645, realizzando la maestosa struttura marmorea dell’ altare maggiore con le statue di San Rocco e San Sebastiano, che presenta al centro la miracolosa immagine di Santa Maria di Costantinopoli, affresco su lastra tufacea della fine del Quattrocento circa. L’ interno fu decorato con stucchi bianchi nel ‘700 da Domenico Antonio Vaccaro; di Belisario Corenzio sono gli affreschi della cupola e della volta dell’ abside (1615); di Fabrizio Santafede è l’ Adorazione dei Magi (seconda cappella sinistra); attribuito al pittore fiammingo Wenzel Cobergher è il Martirio di San Bartolomeo (quarta cappella a destra).
Se usciti dalla chiesa guardiamo a sinistra, possiamo già scorgere l’edificio in cui ha sede il Museo Archeologico Nazionale (Mann). Il palazzo, che ospita uno dei più importanti musei archeologici del mondo, fu costruito alla fine del ’500 come cavallerizza ma venne lasciato incompiuto; fu ristrutturato all’inizio del secolo successivo per diventare la nuova sede dell’Università. Il palazzo ospitò l’ateneo fino al 1777, quando, a causa delle sue pessime condizioni, Ferdinando IV di Borbone trasferì l’Università nell’ex convento del Gesù Vecchio. Con Carlo III di Borbone, ultimo discendente della casata Farnese, e poi con il figlio Ferdinando IV tutte le collezioni d’arte della famiglia Farnese, già conservate in varie residenze romane, vennero trasferite a Napoli, trovando una prima collocazione nella Villa Reale di Capodimonte; assieme ai reperti provenienti dagli scavi delle città vesuviane, le collezioni Farnese confluirono infine nel Real Museo Borbonico, che trovò collocazione nel vecchio palazzo dell’Università opportunamente ristrutturato e ampliato. Dopo l’Unità d’Italia, il Museo diventò Nazionale; nel 1957 la quadreria viene trasferita al Museo di Capodimonte, mentre al Museo Archeologico restano le collezioni di statuaria greca e romana, le collezioni epigrafiche, preistoriche, egizie, numismatiche, oggetti, affreschi e mosaici provenienti dagli scavi delle città vesuviane, vasi greci, gemme.
Di fronte al museo possiamo vedere la Galleria Principe, costruita nel 1870 e terminata nel 1883. Il progetto aveva dovuto tener conto dei diversi livelli di accesso e così, la presenza delle scalinate di raccordo determinò una certa estraneità dall’ambiente circostante; la preesistenza della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, inoltre, non consentì la costruzione del quarto braccio e così la galleria ebbe i suoi accessi da Via Bellini, dalla Salita del Museo e dal largo spazio porticato costruito di fronte al Museo Nazionale.
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