Itinerario Capodimonte e Vergini
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Iniziamo il nostro itinerario con la visita del parco di Capodimonte (via Miano 2 Porta Piccola – via Capodimonte 1 Porta Grande), fatto realizzare da Carlo di Borbone per potervi praticare la caccia, suo passatempo preferito. La parte iniziale del grande parco, di oltre 120 ettari, ricco di alberi secolari e con cinque larghi viali fiancheggiati da lecci che si diramano a raggiera da un piazzale in prossimità della Reggia di Capodimonte, fu progettata da Ferdinando Sanfelice nel 1742. Nel bosco si trovano numerosi fabbricati in cui si svolgevano attività legate alla vita di corte, o destinati a funzioni agricole. Nello stesso edificio che ospitò la Real Fabbrica della Porcellana fondata da Carlo di Borbone nel 1743 trova oggi sede l’Istituto Superiore “Caselli”, dove gli alunni imparano l’arte della ceramica di Capodimonte famosa in tutto il mondo.
All’interno del parco si trova il Museo di Capodimonte, singolare combinazione di reggia e museo fatta costruire da Carlo di Borbone per ospitare la sua famiglia in occasione delle battute di caccia e per esporre la raccolta di opere d’arte ereditata dalla madre Elisabetta Farnese. Costruito a partire dal 1738 su progetto di Antonio Medrano, l’edificio fu completato solo cento anni dopo, anche se una parte importante della collezione Farnese, in particolare i dipinti, vi fu esposta dal 1759. Le alterne vicende storiche determinarono spostamenti, perdite, ma anche significativi accrescimenti delle raccolte. All’inizio dell’800, i dipinti furono portati al Museo Archeologico Nazionale, all’epoca ex Palazzo degli Studi, per essere poi ricollocati nella loro sede originaria nel 1957, quando la Reggia fu riaperta al pubblico dopo essere stata, dal 1906 al 1945, residenza dei Savoia. Il nucleo originale della vasta raccolta del Museo è la collezione Farnese, che comprende alcuni fra i massimi capolavori della storia dell’arte italiana, con tele di Tiziano, Giovanni Bellini, Botticelli, Carracci, Correggio, Parmigianino, Raffaello e molti altri. A partire dall’800, la collezione è stata integrata da acquisti, lasciti, donazioni e acquisizioni grazie alle quali sono arrivati al museo dipinti dal Duecento al Novecento di autori provenienti da ogni parte d’Italia. Capodimonte ospita inoltre importanti raccolte di arti applicate, oreficerie, porcellane, arazzi, e l’armeria farnesiana e borbonica. Al primo piano è allestito l’Appartamento Reale, realizzato per i soggiorni di Carlo di Borbone e della sua famiglia; la sequenza di ambienti illustra l’evoluzione del gusto decorativo fra Settecento e Ottocento, con stanze in stile pompeiano, neoclassico, impero, arricchite da ritratti degli esponenti della famiglia reale. La collezione di Capodimonte è completata dal Gabinetto dei disegni e delle stampe, con disegni, cartoni preparatori, acquerelli e stampe dei massimi artisti italiani ed europei, e dalla collezione Mele, una raccolta di manifesti pubblicitari dei Grandi Magazzini Mele aperti a Napoli nel 1889, testimonianza del linguaggio pubblicitario fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.
Nei pressi del Parco di Capodimonte troviamo l’ Osservatorio Astronomico (salita Moiariello, 16), situato in una splendida posizione sul colle di Miradois; a poco più di 150 mt. sul livello del mare, l’ osservatorio gode di un suggestivo panorama sulla città e sul golfo. Fondato nel 1819 da Federico I di Borbone, fu la prima attrezzatura scientifica di questo tipo nata in Europa. L’ interesse per gli studi astronomici era molto vivo alla corte dei Borbone, tanto che nel 1735 Carlo di Borbone aveva istituito la prima cattedra universitaria di astronomia. Nel 1791 si cominciò a costruire un osservatorio nell’ attuale Museo Archeologico, ma il progetto venne abbandonato; alcuni anni dopo, su progetto dei fratelli Gasse, fu costruito l’ edificio dell’Osservatorio in forme neoclassiche. Oggi parte dell’ Osservatorio è sede di un museo che espone una ricca collezione di strumenti scientifici dei secoli scorsi.
Usciti dall’ Osservatorio torniamo verso il Parco di Capodimonte, andiamo verso destra e percorriamo via Capodimonte fino al piazzale Madre Landi dove incontriamo il maestoso Santuario Mariano Diocesano: basilica dell’ Incoronata Madre del Buon Consiglio. Di non eccelso valore storico ed artistico, essendo di fondazione recente, ma di grande valore spirituale, e tempio tra i più venerati tra i napoletani, fu fondata da suor Maria di Gesù Landi, nata nel 1861, ritiratasi all’ età di diciassette anni a vita francescana e ordinata suora nel 1887 con il nome di Maria di Gesù. Nel 1920 iniziarono i lavori, nel 1953 fu completata la facciata e nel 1960 fu consacrata la chiesa dal cardinale Alfonso Castaldo. Nel 1968, il cardinale Ursi proclamò la chiesa dell’ Incoronata Santuario Mariano Diocesano. Nel 1980 venne, infine, consacrata basilica. L’ architettura della basilica dell’ Incoronata fu strutturata a somiglianza della basilica di S. Pietro, sia nella cupola (situata all’ altezza di settanta metri e contenente un frammento della Sacra Croce di Cristo), che nella facciata in travertino (larga 45 metri e alta 30). Nonostante sia stato realizzato da pochi decenni, l’ interno a tre navate con cappelle laterali è arricchito da diverse opere di valore, donate oppure provenienti da chiese distrutte. Dalla Basilica si accede alle Catacombe di San Gennaro, le quali rappresentano il più importante monumento del Cristianesimo a Napoli.
Usciti dalla chiesa scendiamo verso il centro della città, prendendo corso Amedeo di Savoia; sulla destra troviamo Via salita dei Principi, la percorriamo fino ad incrociare sulla sinistra via S. Vincenzo; dopo aver preso quest’ ultima, la percorriamo tutta svoltando a destra in via della Sanità; questa strada ci porta in via delle Fontanelle, dove al n. 77 troviamo la chiesa di Maria Santissima del Carmine, dalla quale si accede al Cimitero delle Fontanelle. Le grandi Caverne, scavate nel tufo della collina di Materdei, venivano già usate come ossario della città, quando nell’ 800 vi furono raccolti i resti delle migliaia di vittime dell’ epidemia di colera che colpì Napoli nel 1836. Consacrato nell’ immaginario collettivo dal celebre film “Viaggio in Italia” di Rossellini, il Cimitero delle Fontanelle sconvolse la turista Katherine-Ingrid Bergman.
Torniamo indietro percorrendo a ritroso via Fontanelle e prendendo via della Sanità, e passiamo sotto il ponte di corso Amedeo di Savoia giungendo così in piazza della Sanità; sulla sinistra possiamo vedere la chiesa di S. Maria della Sanità, situata nel cuore del più popolare quartiere della città e conosciuta a Napoli come chiesa di S. Vincenzo, perchè in essa è custodita una veneratissima immagine del Santo, soprannominato dal popolo “‘o munacone”. La chiesa fu costruita fra il 1603 e il 1613 su progetto di frà Giuseppe Nuvolo; l’interno è a croce greca, scandito da 24 pilastri che sostengono 12 cupole laterali ed una centrale, con un richiamo numerologico a Cristo e agli apostoli. L’ ardito progetto dell’ altare rialzato su un podio (al quale si accede da due bellissime rampe di scale poste lateralmente) venne concepito per rendere visibile l’ ambiente che fungeva da atrio delle catacombe e dal quale si accedeva al cimitero sotterraneo. Settimio Celio Gaudioso, vescovo africano, secondo la tradizione morì in esilio a Napoli nel 452, e venne sepolto nella valle della Sanità; intorno al suo sepolcro si svilupparono le catacombe che da lui presero il nome. Nei numerosi corridoi sono visibili tracce di affreschi e di decorazioni a mosaico di notevole interesse, risalenti al IV-VI secolo. Il cimitero continuò ad essere usato anche nei secoli successivi; infatti alla prima metà del ‘600 risalgono le inquietanti sepolture con lo scheletro disegnato sulla parete ed il teschio autentico incassato nel muro, a completare con realismo la rappresentazione del defunto.
Proseguiamo per via della Sanità dove ai numeri 2-4 troviamo Palazzo Sanfelice, fatto costruire da Federico Sanfelice per la sua famiglia nel 1728, come si legge nell’ iscrizione posta alla sommità del portale di destra. In questo progetto per la prima volta il noto architetto inventò l’ eccezionale scala aperta che ripeterà, con alcune variazioni, dieci anni dopo nel palazzo dello Spagnolo. Ai contemporanei la scala appariva simile ad un grande uccello con le ali spiegate, e così venne definita “ad ali di falco”. Per meglio comprendere la bellezza e la funzionalità della struttura, la cosa migliore da fare è percorrerla: dal primo ripiano è possibile vedere il giardino retrostante. Anche il secondo cortile (n. 2), pur essendo ormai privo delle decorazioni originarie, ha sul fondo una scala ellittica che riserva un’ altra piccola sorpresa architettonica.
Proseguiamo il nostro cammino prendendo via Arena della Sanità, e continuando per Vico Croce ai Miracoli; sulla destra incrociamo via Vergini, dove al civico 19 troviamo il palazzo dello Spagnolo, iniziato nel 1738 da Ferdinando Sanfelice (1675-1748) per il marchese Nicola Moscati; questo edificio nell’ 800 divenne di proprietà del nobile spagnolo Tommaso Atienza, e venne quindi ribattezzato Palazzo dello Spagnolo. Ferdinando Sanfelice, oltre che celebre architetto, fu anche uno dei maggiori progettisti delle complesse architetture effimere del periodo. Questi impianti scenografici venivano allestiti in occasione delle numerose feste di piazza che la corte offriva al popolo per ottenerne il favore. Questa componente caratteristica della sua formazione culturale tardobarocca si manifesta in modo particolare nei due palazzi della Sanità. Dopo aver attraversato il maestoso portale del palazzo dello Spagnolo si resta colpiti dalla felicissima invenzione ripresa da palazzo Sanfelice: la scala a giorno a doppia rampa che, proprio come una scenografia, separa il cortile principale da quello secondario.
Dopo aver visitato questo magnifico edificio ci portiamo in via Cristallini alla fine di questa strada, incrociamo salita Capodimonte e prendendo quest’ ultima giungiamo in Piazza S. Severo dove è ubicata, al n. 81, la chiesa di San Severo fuori le mura, dedicata al vescovo che resse l’ episcopato di Napoli dal 364 al 410. Questo fu il luogo scelto per la sua sepoltura ed intorno al quale, come si usava tra i primi cristiani, si sviluppò un grande cimitero sotterraneo. La basilica sulle catacombe fu abbandonata all’ inizio del IX secolo, quando le reliquie del Santo vennero trasportate all’ interno delle mura cittadine, in San Giorgio Maggiore. L’ edificio venne restaurato solo nel ‘500, e nelle forme attuali alla fine del XVII secolo. Dalla terza cappella a sinistra si accede alle catacombe, di cui è visibile una cella con tre arcosoli (nicchie ad arco scavate nella parete in cui venivano collocati i sarcofagi), ornati di affreschi che, anche se molto rovinati, sono un bell’ esempio di pittura catacombale.
Rifacciamo la strada a ritroso fino a giungere in via Foria; di fronte a noi possiamo vedere (sulla destra) Porta S. Gennaro, così chiamata perchè da essa aveva inizio la strada che conduceva alle catacombe in cui era sepolto il Patrono della città. Dopo la fine dell’ epidemia di peste del 1656, Mattia Preti dipinse su ognuna delle porte cittadine un affresco, come ex voto per lo scampato pericolo: porta S. Gennaro è l’ unica che conserva una traccia del dipinto da poco restaurato. Sulla facciata interna vi è il busto di S. Gaetano con un’ iscrizione dedicatoria e la data del 1658.
Dopo aver visitato il monumento cittadino scendiamo per via Foria fino ad incrociare, sulla destra, via Cirillo, la percorriamo tutta e, quando giungiamo in via Carbonara, sulla sinistra al numero civico 5 vediamo la chiesa di S. Giovanni a Carbonara. Appena giunti davanti alla chiesa salta subito agli occhi la fantasiosa scala a doppia rampa realizzata all’ inizio del ‘700 da Ferdinando Sanfelice che conduce alla trecentesca cappella di Santa Monica; attraversato il sagrato, a sinistra, si accede per un portale laterale alla chiesa. Fondata nella prima metà del ‘300 dagli Agostiniani, fu restaurata ed ampliata alla fine del secolo da Ladislao di Durazzo perchè diventasse degno luogo di sepoltura degli ultimi sovrani angioini. Per volere della sorella Giovanna II, dopo la morte del re (1414), fu qui eretta la sua tomba, opera di anonimi scultori toscani e lombardi. La grandiosa “macchina funeraria” del sepolcro di re Ladislao domina l’ interno costituito da un’ unica aula dal tetto a capriate lignee. Passando sotto il monumento si accede alla cappella Caracciolo del Sole, a pianta centrale, costruita nel 1427 per Sergianni Caracciolo, amante di Giovanna II e gran siniscalco alla sua corte. Sempre a pianta centrale, ma edificato circa un secolo dopo, è l’ armonioso ambiente rinascimentale che si apre a sinistra del presbiterio: la cappella Caracciolo di Vico, realizzata da Giovan Tommaso Malvito su progetto di Bramante. Di grande interesse è la tomba Miroballo di fronte all’ ingresso.
Usciti dalla chiesa, continuiamo a scendere per via Carbonara fino a raggiungere, sulla destra, largo Santi Apostoli dove troviamo la chiesa a loro dedicata; ci troviamo in un punto limitrofo del decumano superiore che più avanti prende il nome di via Anticaglia. Fondata nel V secolo e ristrutturata tra la fine del ‘500 e la metà del ‘600, la chiesa conserva uno stupendo ciclo di affreschi di Giovanni Lanfranco. Tra il 1638 ed il 1646 il pittore parmense – che negli stessi anni affrescava la cupola del tesoro di S. Gennaro – creò sulle pareti e le volte il suo capolavoro napoletano, lasciando un segno indelebile nella cultura locale.
Dobbiamo ora tornare in via Foria e percorrerla fino a raggiungere via Tenore (sulla sinistra); risalendo questa strada ci troviamo di fronte la chiesa di S. Maria degli Angeli alle croci; il nome ricorda le stazioni della via Crucis, segnate dalle croci di legno, oggi scomparse, che scandivano la salita alla chiesa. Fondata alla fine del ‘500 dai Francescani, fu rifatta nel secolo successivo su progetto di Cosimo Fanzago. Per l’ estrema semplicità della decorazione in marmo bianco e grigio, la chiesa è un caso unico nella storia dell’ architettura barocca napoletana. All’ interno vi è il bellissimo pulpito marmoreo sorretto da una grande aquila, simbolo di S. Giovanni Evangelista, scolpito da Fanzago. Lo straordinario bassorilievo con Cristo morto che orna il paliotto dell’ altare maggiore è invece opera di Carlo Fanzago, figlio di Cosimo.
Proprio davanti alla chiesa si trova l’Orto Botanico, con ingresso da via Foria 223, istituito nel 1807 con decreto di Giuseppe Bonaparte. Il “Reale giardino delle piante” è attualmente uno dei maggiori orti botanici italiani per estensione e consistenza delle collezioni. Ha un ricchissimo patrimonio di specie arboree ed arbustive provenienti da ogni latitudine, esemplari di quasi tutti i fiori esistenti, serre a varie temperature. La serra temperata è un bell’ edificio neoclassico. Fra le collezioni rivestono un particolare interesse quelle di agrumi, di piante del deserto e di felci arboree. Una passeggiata tra i viali di quest’ oasi verde nel cuore di una delle zone più trafficate della città è un vero piacere.
Ci portiamo ora di nuovo in via Foria e la percorriamo tutta scendendo verso piazza Carlo III; quì possiamo ammirare l’ immenso edificio che venne progettato da Ferdinando Fuga per ospitare, secondo i desideri di Carlo di Borbone, i “poveri di tutto il regno”. Ciò che oggi è visibile ai nostri occhi è solo la quinta parte di quello che era in origine. I lavori iniziati nel 1751 proseguirono fino al 1829 ma l’ Albergo dei Poveri non fu mai terminato. Attualmente è in fase di ristrutturazione, dopo i danni causati dal terremoto del 1980 che fece crollare un’ ala dell’ edificio. La parte centrale è stata in parte restaurata ed ha anche ospitato delle mostre; il 10 febbraio 2004, l’ orologio affisso sulla sommità della facciata è ritornato a funzionare dopo 56 anni. I lavori di restauro sono stati affidati dal Comune di Napoli a Salvatore Ricci, mastro orologiaio insignito dal Presidente della Repubblica Italiana; e Ricci ha indicato le tecniche e le modalità più appropriate per garantire il funzionamento dello stesso. I lavori di restauro della facciata del palazzo sono iniziati nell’ autunno del 2003.
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